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Deep Purple e l'arte di fare un grande album a 56 anni dal primo



È un tuffo molto piacevole in un' altra era della musica l'ascolto del nuovo album in studio dei Deep Purple che, giusto per chiarire lo stato dell'arte, è uno dei loro dischi migliori, almeno per quanto la produzione degli ultimi vent'anni. Un nuovo chitarrista quarantacinquenne, Simon Mc Bride, e quattro leoni dell'hard rock, più vicini agli ottanta che ai settanta, in compagna di un altro veterano, il produttore Bob Ezrin, sono i protagonisti di un album potente e ispirato.

I Deep Purple sono l'esatto opposto delle band che trascinano la loro carriera oltre i limiti della decenza.

Ce lo dice chiaramente l'iniziale Show me, un pezzo hard rock da antologia se non fosse che la band ha una tale collezione di classici da rendere quasi impossibile aggiungerne altri nella memoria dei fan. Tutto il disco emana vitalità a cominciare dall'attacco roboante di A bit on the side, e anche quando la band toglie il piede dall'acceleratore (vedi la bluesy If I were You) l'effetto credibilità rimane intatto.

=1 è l'ennesima conferma di uno stile che resta immutato ma mai scontato, un marchio di fabbrica che regge serenamente al passaggio del tempo e ai cambi di formazione. Basta ascoltare Pictures Of You o Lazy Sod

I Deep Purple hanno una loro dimensione spazio-temporale, non cercano di essere contemporanei ma nemmeno si crogiolano nel passato. E questo avviene perché la qualità delle canzoni rimane alta. Alla fine del disco, con i quasi sei minuti di Bleeding Obvious non si ha la sensazione di un revival fine a se stesso. Ci sono molti modi di invecchiare umanamente e artisticamente: Ian Paice, Roger Glover, Ian Gillan e Don Airey hanno scelto di farlo praticando la cosa che amano di più. Chapeau!

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