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Vinicio Capossela in tour: «Nel mio album c’è il mondo altro delle carceri»

Debutta a San Vito al Tagliamento, tra i palazzi affrescati di piazza del Popolo, “Altri Tasti” di Vinicio Capossela, un nuovo assetto strumentale del tour: giovedì 25 luglio, alle 21.30, per la rassegna “Nei suoni dei luoghi”, sul palco con il cantautore e la sua band (Alessandro Stefana alle chitarre, Andrea Lamacchia al contrabbasso, Piero Perelli alla batteria), sale l’Accademia d’archi Arrigoni. Diretta da Raffaele Tiseo, la Arrigoni di San Vito è un punto di riferimento nel Triveneto e accompagnerà Capossela in due date esclusive (la seconda sabato a Verona).

Capossela, con il Friuli Venezia Giulia ha un rapporto speciale?

«Mentre sto parlando mi trovo sul Carso triestino; Trieste è una delle mie città elettive, dove ho molte amicizie consolidate da anni. Un rapporto che coinvolge anche la mia famiglia: mia sorella Mariangela, che si occupa di arte pubblica, per il centenario di Basaglia ha realizzato qui, con Hangar teatri, l’opera “Corrispondenze immaginarie”. Ma non è il mio attaccamento al territorio la causa di queste date: il motivo è la disponibilità che ho trovato nell’Orchestra Arrigoni di partecipare a questo progetto. Sono però contento che avvenga in una regione a cui sono profondamente legato».

La scaletta a San Vito?

«Il maestro Tiseo è stato elemento costitutivo dell’ultimo disco “Tredici canzoni urgenti” per l’arrangiamento musicale, che verrà quindi eseguito nella sua interezza. Ci sono poi cinque brani da “Camera a Sud”, album che quest’anno compie trent’anni».

Chi l’ha già vista in inverno al Nuovo Giovanni da Udine cosa troverà di diverso?

«In teatro è possibile calarsi in una dimensione di sospensione e incredulità, questa volta c’è invece la coloratura che un organico orchestrale può offrire».

Quest’estate sta proponendo spettacoli differenti a seconda dei luoghi. È complicato?

«Ogni data ha le sue particolarità e le sue caratteristiche; da un lato abbiamo voluto celebrare “Camera a Sud” che aveva gli arrangiamenti molto belli di Marangolo, dall’altro ci sono le “canzoni urgenti”. Differenziare richiede lavoro, ma è bello da fare, ci arricchisce. Sono occasioni di confronto, di stare insieme ai musicisti e andare in profondità. Suonare con l’orchestra può essere a rischio ridondanza, “orcaestra” l’ho chiamata una volta per la sua imponenza da orca ma, quando i brani lo consentono, funziona».

Tra i temi toccati nel suo ultimo album c’è la situazione carceraria, vero?

«Sì, un tema su cui si misura il grado di civiltà di una società. Le persone comuni lo considerano un mondo altro. Ci sarebbe da rendere il tempo del carcere non pena ma riabilitazione umana. Purtroppo ci sono continue notizie di suicidi e di legittime proteste (più che rivolte)».

E “La cattiva educazione” parla di violenza contro le donne.

«Basta leggere le cronache: è intollerabile il numero di crimini che questa società continua a produrre. C’è un problema di educazione. La narrazione tende a porre il mostro fuori da noi, ma c’è un problema di gestione delle emozioni, delle relazioni, dei rapporti su cui c’è molto lavoro da fare. Sfortunatamente, la scuola e lo stato spesso hanno abdicato. Credo che il padre di Giulia Cecchettin abbia dato un grande esempio di senso civile».

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