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Misteri e tangenti: Diego Zandel in un affare balcanico

Misteri e tangenti: Diego Zandel in un affare balcanico

foto da Quotidiani locali

TRIESTE Il polo d’attrazione della narrativa di Diego Zandel è la fascia orientale dello Stivale, un’area cui lo avvicina l’origine fiumana orgogliosamente rivendicata e la competenza in una delle lingue dei vicini, il serbo-croato. Molte sue storie nascono qui, su quel lembo di frontiera dove il confine, più che in altre parti d’Italia, si è mosso durante il “secolo breve” ora verso Est ora verso Ovest. Seminando spesso incomprensione ed odio, provocando ferite individuali e collettive.

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Così anche nel romanzo più recente, Un affare balcanico (Voland 2024, pp. 192, euro 18), che nasce dal felice incrocio dell’ambientazione italo-balcanica con uno di quei misteri di cui il nostro Paese è particolarmente ricco. Si tratta, nello specifico, del caso Telekom Serbia, che fece sospettare alla stampa (e soprattutto ai giornalisti d’inchiesta, ai cui libri Zandel rimanda in una breve postfazione) una mega-tangente (per la calunnia fu condannato un certo Igor Marini), istituire una commissione parlamentare d’inchiesta e spingere all’indagine ben due procure.

Cosa era successo? Telecom Italia aveva acquisito il trenta per cento di Telekom Serbia, facendo il sostanzioso pagamento – così malignò Giuseppe Consolo di Alleanza Nazionale in sede di Commissione parlamentare d’inchiesta – con contanti (marchi) contenuti in capienti sacchi di juta (cosa di più stuzzicante per la fantasia di un narratore?).

Quanto di tutto ciò era rimasto nella mani dei mediatori coinvolti e dei politici? Le indagini addivenirono ad un nulla di fatto, ma è facilmente intuibile come questa materia rovente, se impastata da uno scrittore di qualità, possa divenire uno splendido soggetto di narrazione.

Aggiungiamo ancora che Zandel ha effettivamente ricoperto nel 1997 un incarico come responsabile della Stampa aziendale in Telecom Italia e che la controparte serba era niente di meno che Slobodan Milošević, firmatario degli accordi di Dayton che posero fine alle guerre jugoslave, presidente di quella Serbia che di lì a poco avrebbe subito l’attacco Nato per la presunta pulizia etnica del Kosovo, con l’esito inaspettato della sconfitta politica del presidente serbo e della sua consegna (2001) al Tribunale internazionale per i crimini nell’ex-Jugoslavia.

Ritroviamo, in Un affare balcanico, quel Guido Lednaz che i lettori di Zandel ben conoscono, e che qui si riappropria di una porzione del vissuto dello scrittore, facendoci da guida in una zona grigia tra legalità e malaffare, normale quotidianità impiegatizia e giochi di potere e di quattrini ai massimi livelli, dove l’esito tragico, sempre possibile (il terreno di inquietudine e tensione dove il “giallista” gioca le proprie fortune), si risolve invece in una conclusione sorridente (ed appagante, aggiungiamo, sul piano etico, ma senza altro svelare della trama).

Colpisce per altro, ed è una strada che Zandel percorre in questo libro con nuova determinazione, la ricchezza di formule di saluto, frasi, versi di canzoni in serbocroato che il romanzo accoglie nel proprio tessuto linguistico (con lo scrittore sempre attento, magari senza parere, a spiegare e/o a tradurre). Una chiave d’accesso al mondo ex-jugoslavo (di Croazia e di Serbia in particolare) al quale gli italiani guardano non di rado con un filo di ingiustificata superiorità, oppure, ed è quasi la stessa cosa, con occhi di strabiliato esotismo, come se non si trattasse dei nostri vicini di casa ma di abitanti di un Paese sconosciuto (controprova: chi saprebbe da noi, Trieste e Gorizia escluse, spiegare qualcosa delle differenze linguistiche, storiche e culturali fra sloveni e croati?).

Siamo insomma sull’antico nobile spartito dell’insegnare dilettando, e un passo avanti verso quell’Europa di Paesi che si conoscono e si stimano che è il futuro che tutti auspichiamo.

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