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Renzi, l’Arlecchino che gioca a fare lo statista con l’1%: anatomia di un leader che non esiste più

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Matteo Renzi è a modo suo un fuoriclasse, perché solo un fuoriclasse avendo ormai poco più dell’1% può fare due interviste consecutive sul Corriere e su Repubblica ponendosi come stakeholder del centrosinistra, dettare le regole, indicare i traguardi, lanciare la fatwa contro il governo Meloni come se fosse il leader di quel Pd che raggiunse […]

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Matteo Renzi è a modo suo un fuoriclasse, perché solo un fuoriclasse avendo ormai poco più dell’1% può fare due interviste consecutive sul Corriere e su Repubblica ponendosi come stakeholder del centrosinistra, dettare le regole, indicare i traguardi, lanciare la fatwa contro il governo Meloni come se fosse il leader di quel Pd che raggiunse il 40% dieci anni fa e che segnò l’inizio della sua fine.

Eppure, il fondatore di Italia Viva, da quando ha giocato la partita del cuore con Elly Schlein, è ritornato per l’ennesima volta a Damasco, cadendo ancora dal cavallo nella conversione di posizioni politiche dettate con la sicumera di chi crede di essere Churchill o Napoleone, immemore di avere detto tutto e il suo contrario e di essere completamente antitetico alla sinistra, ai Cinquestelle, ad Avs e persino (soprattutto) a Calenda.

Renzi: anticomunista più di Berlusconi

Da quando conquistò la segreteria del Pd all’incarico di Palazzo Chigi e fino alla Waterloo del referendum costituzionale, Matteo Renzi ha dimostrato una sola cosa: un anticomunismo viscerale, di gran lunga superiore a quello di Berlusconi. Nei tre anni circa di doppia guida del partito e del governo ha depotenziato tutto l’establishment esistente di sinistra, ha dapprima bloccato Bersani alla guida del governo, ha impallinato Romano Prodi al Quirinale, ha parlato di blairismo, jobs act, di riforma della giustizia, di lotta al massimalismo di sinistra. Un misto democristiano e socialista che aveva l’obiettivo dichiarato di portare il gruppo toscano al vertice di Largo Nazareno e di eliminare, come i piccoli indiani di Agatha Christie, ogni residuo postcomunista.

La lotta con Cinquestelle e Avs

Se c’è un nemico storico, inarrivabile, per i Cinquestelle, è il fondatore di Italia Viva. Un sentimento ampiamente ricambiato e condiviso con Avs. Bersaglio di campagne mediatiche giudiziarie dei pentastellati, Renzi li ha sempre apertamente definiti, “il male della politica”. Uno scontro durissimo che ha avuto l’acme ad inizio 2021, quando il toscano ha deciso di far fuori il Conte bis e di puntare sull’esecutivo Draghi. Arrivando peraltro a rivendicare di avere, “sostituito uno che si chiama Giuseppe Conte con uno che si chiama Mario Draghi”. Un livore mai cessato nel tempo.

Differenze più o meno uguali con Bonelli e Fratoianni, visto che lui e Calenda abbandonarono ogni ipotesi di alleanza con il Pd alle politiche di due anni fa quando Enrico Letta annunciò l’accordo con Verdi e Si.

La questione giudiziaria e il premierato

L’ex sindaco di Firenze ha avuto vicende giudiziarie personali e familiari (alcune ancora in corso) per le quali ha chiamato in causa il giacobinismo delle procure e lo sciacallaggio di Pd e Cinquestelle. Ha votato la riforma Nordio (insieme a Calenda), ha detto di votare la separazione delle carriere e anche il premierato, rivendicandolo come suo principio. Non è andato a sfilare a Genova contro Giovanni Toti. Insomma, anche qui un corpo estraneo.

Il riassunto: quanto conta oggi Renzi?

La sintesi riporta all’incipit: quanto conta elettoralmente oggi Matteo da Firenze? Alle europee si è alleato con +Europa annunciando in pompa magna di voler andare a Strasburgo, ma ha raccolto un misero 3,2%. Tradotto algebricamente, Italia Viva oggi ha poco più dell’1% dei consensi. Laddove (in alcuni comuni e regioni) si presenta fuori dal campo largo riesce ad intercettare un voto moderato. Il ruolo autoassegnato di Isaia della riscossa di sinistra, che prevede la caduta del governo Meloni, somiglia terribilmente alle enunciazioni del “divino Otelma”. Il modello francese che sogna è solo l’ennesimo tentativo tattico di tornare a governare senza avere voti, peso e forza. Potranno dargli 4 o 5 seggi al massimo. Compreso il suo, che poi è l’unica , vera cosa che gli interessa.

 

 

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