Migranti, Tunisia: “Non siamo guardiani di frontiere altrui”. Sugli accordi coi Paesi terzi la Commissione Ue ammette: “Non soddisfatti”
Solo ieri, mercoledì 24 luglio, la commissaria europea per gli Affari interni, Ylva Johansson, aveva incontrato i nuovi europarlamentari della commissione libertà civili e affari interni (Libe). Rispondendo a una parlamentare dei liberali del gruppo Renew Europe che chiedeva quale impatto avrà sui viaggi via mare dei migranti il nuovo Patto migrazione e asilo approvato allo scadere della scorsa legislatura, Johansson ha chiesto di “non sopravvalutare il Patto”. Piuttosto, ha spiegato, “serve collaborazione coi Paesi terzi, su questo dobbiamo concentrarci”. Una partita ancora tutta da giocare se la stessa commissaria ha ammesso di “non essere soddisfatta“. Pur rimanendo convinta che “serve continuare sulla strada degli accordi”, ha detto citando la Tunisia con la quale un anno fa la presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha siglato un memorandum di intesa con al centro l’immigrazione irregolare (foto).
Nemmeno 24 ore dopo, è proprio la Tunisia a fare nuovi distinguo, un’altra volta. Il ministro degli Esteri tunisino, Nabil Ammar, ha dichiarato in una lunga intervista sul quotidiano in lingua araba Assabah che la Tunisia non accetterà mai di risolvere la questione migratoria a scapito del proprio Paese. Ammar ha sottolineato inoltre l’intenzione della Tunisia di mantenere relazioni indipendenti e sovrane, diversificando i partner strategici, specialmente con Paesi africani, asiatici e dell’America Latina. Nell’intervista si parla anche della “preoccupazione europea” per il riavvicinamento del Paese all’asse russo-cinese. Il ministro “ha rimarcato l’adesione della Tunisia al principio di “indipendenza della sovranità nazionale nel processo decisionale interno e il suo rifiuto di accettare qualsiasi ingerenza da parte di chiunque“, negando che alcun membro dell’Unione europea abbia mai rilasciato “un commento ufficiale sulle nostre relazioni con il resto dei nostri partner”. Tornando ai migranti, Ammar spiega che la Tunisia sta lavorando “a una soluzione collettiva che serva gli interessi di tutte le parti e nel quadro di un approccio globale e solidale basato sulla continua consultazione e cooperazione con i suoi partner a livello bilaterale e multilaterale”. Ma ribadendo che “la Tunisia ha rifiutato di istituire piattaforme di sbarco sul suo territorio per migranti irregolari e richiedenti asilo, aderendo ai suoi obblighi umanitari e internazionali basati sul rispetto dei principi dei diritti umani e sul rifiuto del rimpatrio forzato dei migranti irregolari” e “rifiuta inoltre di essere guardiana di frontiere diverse dalle proprie, di essere un corridoio di transito o un luogo di insediamento di migranti“.
Intanto nel Paese è in corso la Festa della Repubblica tunisina che celebra oggi il 67 mo anniversario della sua proclamazione. Ma anche le manifestazioni dei parenti dei detenuti politici, tema rilanciato più volte dai media internazionali a sottolineare, tra l’altro, lo scarso rispetto dei diritti sotto la presidenza di Kais Saied. A dare una dimensione del problema è stato, in occasione delle celebrazioni, lo stesso presidente, che ha firmato due provvedimenti di grazia che riguardano in tutto 2.956 detenuti, dei quali 1.462 saranno rimessi in libertà, mentre i restanti potranno beneficiare di sconti di pena. In particolare, la presidenze ha deciso di concedere una prima grazia speciale a un certo numero di condannati per reati legati alla pubblicazione di post sui social network. II comunicato della presidenza tunisina informa inoltre che Saied ha emanato diversi decreti che prevedono la cancellazione o la riduzione della pena per 1.727 condannati detenuti, che hanno portato alla liberazione di 233 di loro. Si tratta in effetti di un’altra grazia che riguarda i condannati per altri reati. Se si fa riferimento alla nota della presidenza e a quella del ministero della Giustizia, si può evincere dunque che la “grazia speciale e la liberazione condizionale” per condanne per reati legati alla pubblicazione di post condivisi sui social network riguarda 1.229 detenuti.
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