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Mittelfest a Cividale, prigionieri di se stessi: Il Teatrino Giullare dentro alla Tana di Kafka  

Mittelfest a Cividale, prigionieri di se stessi: Il Teatrino Giullare dentro alla Tana di Kafka 


 

foto da Quotidiani locali

CIVIDALE. Torna a Mittelfest Franz Kafka, nel centenario della sua morte, con una messa in scena originale de “La tana”, l’ultimo dei racconti del grande scrittore boemo, pensata appositamente per gli spazi di Santa Maria dei Battuti. Uscito postumo nel 1931 a cura dell’amico scrittore Max Brod, La tana racconta di un essere singolare, mezzo uomo (un architetto) e mezzo animale (un roditore), che passa la vita a scavare cunicoli per proteggersi dall’esterno, dal momento che vive tutto ciò che esiste al di là della sua intricatissima tana, come un pericolo costante e una minaccia di morte.

Questo testo di Kafka è anche alla base dell’ultima creazione del Teatrino Giullare, una compagnia diretta da Enrico Deotti e Giulia dell’Ongaro, che in questi anni si è ritagliata uno spazio molto personale nel panorama teatrale contemporaneo affrontando classici antichi e moderni mescolando le tecniche del teatro di figura a prove d’attore, maschere e ombre e installazioni, anche adattando le loro messe in scena in spazi di volta in volta diversi.

Spettacoli site specifc come nel caso di questo “La tana” che andrà in scena per Mittelfest venerdì e sabato alle 16 e alle 18, quattro rappresentazioni per un massimo di 25 persone a recita. «Ispirato a racconti e ai diari di Franz Kafka - racconta Enrico Deotti - il nostro spettacolo si configura come un percorso tra personaggi che dal loro rifugio osservano il mondo esterno, le cose, le persone e le atmosfere che li circondano creando una visione della realtà inquietante (e umoristica)».

Un percorso a tappe o una narrazione simultanea di diversi personaggi che lo animano? «Un percorso a tappe - prosegue Deotti - perché i personaggi si raccontano uno alla volta, e questo ci permette di creare una significativa situazione di intimità tra spettatori e personaggi, dove la sensazione di isolamento si rifletterà sugli spettatori stessi».

Nello spettacolo i personaggi sono quattro e raccontano il loro punto di vista sul mondo oscillando tra il desiderio di starsene sicuri nel loro rifugio, in cui vivere in pace ma isolati dal mondo esterno e l’eterno desiderio che hanno gli umani: l’aspirazione di potersene finalmente andare, partire e arrivare in capo al mondo. Sono quattro, ma è centrale il protagonista del racconto che dà il titolo alla pièce.

Spiega ancora il direttore Deotti: «Una cosa che a noi sembra molto interessante è proprio la dicotomia che caratterizza l’essere umano, combattuto tra questa tendenza al vivere isolato, come il protagonista che si è costruito un edificio pieno di gallerie, corridoi per un labirinto in cui sentirsi al sicuro, e l’ambizione umana di potersi staccare e volare via. Ma la domanda che Kafka ci pone è. “Via, sì ma lontano da dove?”».

Ma quanto è importante raccontare ancora Kafka o servirsi di lui e della sua opera per raccontare o riflettere sul nostro presente? «Kafka - commenta Deotti - è un gigante della letteratura, e senza dubbio i suoi lavori senza tempo hanno influenzato enormemente la letteratura europea del ‘900. Quanto a noi del Teatrino Giullare devo confessare che sentiamo molto vicini al nostro modo di fare teatro soprattutto i racconti, in particolare quelli incompiuti come La Tana, perché questo ci lascia aperto uno spazio mentale grandissimo e ci stimola in qualche modo a immaginare, a cercare di proporre soluzioni narrative e spettacolari proprio alla luce di quello che siamo e viviamo oggi».

Nelle note sullo spettacolo il Teatrino Giullare cita Milan Kundera. Lo scrittore boemo, a proposito dei personaggi kafkiani, dice che ciascuno di loro “si trova rinchiuso nella barzelletta della propria vita come un pesce in un acquario; e la cosa non lo diverte affatto. Perché una barzelletta è divertente solo per chi è davanti all’acquario. Il Teatrino Giullare porta il pubblico un po’ dentro le viscere della barzelletta. «È un po’ così - conclude Deotti - nel senso che lo portiamo davanti a tanti piccoli acquari, per osservare questi esseri che si sono esclusi dal mondo. Ma è una visione che è una riflessione».

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