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Il passaggio dai fossili alle rinnovabili si può fare, ma servono 100 anni



In una intervista al Financial Times, Christian Malek di JP Morgan sostiene che il mondo avrebbe bisogno di un “reality check” sul passaggio dalle fossili alle rinnovabili “che può richiedere diverse generazioni per conseguire gli obiettivi di net zero”. Questo significa che la narrazione più gettonata, su una presunta accelerazione della transizione energetica fa parte più degli auspici che della realtà.

La rivista Energia, trimestrale fondato e diretto dall’ex ministro Alberto Clò, riporta i dati pubblicati dal Statistical Review of World Energy dai quali emerge che l’abbandono totale dei fossili e l’adozione totalizzante delle rinnovabili, potrebbe richiedere ben oltre un secolo. Nel frattempo, questo non lo dice il report ma è la logica deduzione, i Paesi che hanno puntato la prua verso le fonti green si saranno impoveriti, indebitati, diventando schiavi di chi in Asia continua a investire sui carburanti tradizionali.

Lo Statistical Review of World Energy fa aprire gli occhi, smontando gli scenari trionfalistici espressi dall’Agenzia dell’energia di Parigi, secondo cui la transizione energetica sta marciando a gonfie vele, grazie alla crescita delle rinnovabili a più cifre percentuali, così che la fine delle fossili può dirsi ormai prossima o ancora dalla COP 26 dove è stato lanciato lo slogan consigning coal to history.

Clò, esaminando il report, scrive che “i consumi mondiali di energia sono cresciuti nel 2023 del 2%, notevolmente al di sopra della crescita media annua dell’1,4% nel decennio 2013-2023. Si è verificata quindi un’accelerazione dei consumi, e non un loro rallentamento come capita di leggere, interamente dovuta al balzo del 4,3% nei paesi non avanzati contro un calo dell’1,6% in quelli avanzati”. Ne consegue che “l’energia resta quindi un propellente fondamentale per la crescita e il progresso delle popolazioni povere del mondo. A soddisfarla sono state soprattutto le fonti fossili con una quota nel 2023 sui consumi totali dell’81,5% in calo di appena 0,4 punti rispetto all’81,9% del 2022”. guardando alle emissioni, le fossili sono poi aumentate dell’1,6%.

La prima fonte consumata al mondo resta il petrolio che l’anno scorso ha consolidato la sua quota al 31,7%, mentre la seconda fonte, il tanto odiato carbone, è cresciuta in termini assoluti mantenendo sostanzialmente stabile la sua quota al 26,5%. Il risultato di questi andamenti “è l’aumento del 2,1% delle emissioni globali di carbonio riconducibili all’energia – saldo netto tra un calo del 3,2% nel mondo avanzato e di un aumento del 4,5% in quello emergente e povero – che ha portato all’8,3% il loro aumento nel decennio 2013-2023”.

Clò poi sostiene che bisognerebbe investire principalmente là dove le emissioni crescono, all’opposto di quel che avviene con l’85% degli investimenti cosiddetti green realizzati nel mondo avanzato con un’ampia quota in Europa nonostante le sue calanti emissioni contino per appena il 7% di quelle globali.

A conferma di questo scenario ci sono le dichiarazioni del ministro dell’Energia dell’Azerbaigian, Paese dai cui rubinetti dipende l’approvvigionamento di gas dell’Unione europea e soprattutto dell’Italia. Anche se la capitale Baku ospiterà la Conferenza Onu sul clima, la Cop 29 dall’11 al 22 novembre, il ministro non ha avuto alcuna remora a dire che “il gas resterà con noi per decenni”. Pure nel testo Cop28 di Dubai si parla di una transition away “in modo giusto, ordinato e equo”. Significa che non avverrà dall’oggi al domani.

C’è inoltre il tema, spesso sottovalutato, della massiccia costruzione di infrastrutture per la transizione energetica. “Una fase tutt’ora embrionale che durerà decenni e porterà ad un aumento temporaneo della domanda di combustibili fossili e quindi di emissioni di gas serra ma soprattutto di fabbisogni materiali” dice Clò.

Secondo l’Agenzia internazionale per l’energia, per raggiungere le emissioni zero nette nel 2050 avremo bisogno di costruire globalmente almeno 80 milioni di chilometri di nuovi elettrodotti, cioè raddoppiare le reti oggi esistenti nel mondo. Un piano che richiede investimenti imponenti e tanto uso di energia fossile.

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