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Prima la segnalazione anonima, poi le cimici e le telecamere: così è nata l’inchiesta sulla maestra indagata per frode e maltrattamento

GORIZIA. È un faldone alto circa trenta centimetri quello che, all’avvio dell’interrogatorio di garanzia dell’assistita, s’è trovato sotto gli occhi l’avvocato Fabio Zamparutti. Il difensore assiste la maestra sessantenne che all’alba di una settimana fa è finita agli arresti domiciliari, nella propria abitazione di Ronchi dei Legionari, accusata dalla Procura di Gorizia di presunti maltrattamenti ai bambini e frode a enti pubblici: Regione e Comune.

Le viene addebitato dai Nas di Udine, che hanno condotto quattro mesi di indagini avvalendosi anche di cimici e telecamere segretamente piazzate nella struttura, d’aver fatto «figurare una fornitura di pasti in quantità superiore rispetto a quelli realmente somministrati» ai piccoli, una ventina, iscritti al nido privato. Oltre ad alcuni episodi di maltrattamenti perlopiù verbali: grida, bruschi richiami e, in qualche caso, l’isolamento a scopo “correttivo” in una stanzetta, l’antibagno privo di finestra. Un asilo, a Ronchi, gestito in via diretta dalla cooperativa di cui la maestra è anche legale rappresentante.

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Così, proprio alla luce del corposo fascicolo, aperto dal sostituto procuratore Gian Marco Maffei, e delle numerose intercettazioni lì trascritte, l’avvocato ha suggerito all’indagata di «avvalersi della facoltà di non rispondere». Consiglio che la sessantenne ha seguito. Zamparutti ha chiesto inoltre alla giudice Laura Di Lauro l’alleggerimento della misura restrittiva disposta dal Gip di Gorizia Flavia Mangiante.

L’esigenza cautelare, spiega, è di evitare nell’attuale fase di indagini preliminari una reiterazione del reato, possibile solo all’interno della struttura, sicché il legale ha indicato come soluzione, per l’assistita, il divieto di avvicinamento al nido, cosa che le consentirebbe di uscire dai domiciliari. La giudice s’è riservata la decisione, in genere attesa nell’arco di 24 ore. Dovesse l’istanza eventualmente essere respinta, resta in ogni caso la via del Tribunale del riesame.

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Come è nata l’inchiesta

Un caso, quello di Ronchi, avviato da alcune «segnalazioni», la prima anonima. Sfociate a marzo nelle indagini dei carabinieri del Nucleo antisofisticazione e sanità di Udine, coadiuvati dai colleghi del comando provinciale isontino per la fase esecutiva dell’ordinanza di misura cautelare.

Le attività investigative «hanno permesso di documentare – così il Nas in una nota diramata martedì – numerosi episodi di maltrattamenti ai danni dei bambini». E di appurare «l’entità della frode commessa»: in pratica forniture dei pasti inferiori al numero dei bimbi presenti.

Il cibo veniva suddiviso in razioni più piccole (circa la metà del pattuito), ritenute inadeguate dagli inquirenti, a fronte peraltro del regolare versamento della retta da parte dei genitori. Un aspetto, questo, già l’altro giorno smentito però dalla controparte, con l’avvocato Zamparutti, a ricondurre tali aspetti a una «razionalizzazione per evitare gli sprechi, dal momento che il 50% del cibo sarebbe stato altrimenti gettato via».

L’assistita, attraverso il legale, s’è dichiarata «estranea a ogni addebito», sicura di «disporre di validi strumenti per ricondurre i fatti contestati a ogni singolo operato», escludendo oltretutto recisamente «episodi maltrattanti», nella convinzione di poter addurre testimonianze di genitori invece soddisfatti del servizio reso. Tutti questi aspetti sfoceranno inevitabilmente in una memoria difensiva dell’indagata, per la quale vale ora la presunzione d’innocenza fino all’eventuale sentenza definitiva di condanna.

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