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Tirso annuncia la vendita dell’impianto delle Noghere, chieste 13 settimane di cassa integrazione

TRIESTE. Dopo un lungo silenzio la società tessile Tirso esce allo scoperto. La controllata del gruppo trevigiano Fil Man Made conferma che Friulia ha deciso la vendita dell’impianto delle Noghere e che è cosa fatta la cessione della fabbrica posseduta in Cina, i cui proventi serviranno a pagare due mesi di stipendi e acquistare materie prime, ma non a saldare il debito da 1,5 milioni contratto con Friulia.

L’esposizione complessiva verso creditori ed erario ammonta a 13 milioni, ma dalle parti di Tirso si ostenta ottimismo, evidenziando che l’impresa ricorrerà solo a due settimane di cassa integrazione sulle 13 richieste, con la volontà di riprendere la produzione a settembre.

Tirso conferma che Friulia ha «esercitato la clausola di vendita dell’intero pacchetto azionario», come previsto «nei patti parasociali sottoscritti all’atto dell’ingresso della finanziaria regionale nella compagine societaria», quando nel 2020 Friulia garantì un aumento di capitale da 2,5 milioni e una linea di credito da 1,5 milioni.

Quell’accordo «conferisce a Friulia il diritto, ma non l’obbligo, di vendere l’intero capitale sociale decorso il termine di quattro anni». Ciò che l’azienda sottolinea è che l’opzione era legata al trascorrere di un quadriennio e non a mancanze nella restituzione del prestito. Il management di Tirso precisa al proposito che «nessuna inadempienza contrattuale è a carico della capogruppo, salvo un mancato pagamento di una tranche di interessi pari a 55 mila euro: il finanziamento di Friulia scade in unica rata nel giugno 2026».

Friulia ha deciso comunque di procedere per tutelare il suo investimento e il futuro dello stabilimento, dopo aver riscontrato le crescenti difficoltà di Tirso. Il management dell’industria tessile fatica a digerire la scelta: «L’esercizio della clausola non difetta di legittimità sul piano giuridico, ma l’opportunità lascia profonde perplessità». Posizione già espressa anche dai sindacati.

Secondo Tirso, Friulia «avrebbe potuto attivare tale diritto in un contesto meno delicato, adottando un approccio più responsabile verso i 175 lavoratori». Le critiche si estendono anche a Confindustria Alto Adriatico, «coinvolta nel tentativo di perseguire una rapida azione di sistema, ma ormai la parabola di Tirso traccia un picco piuttosto alto di delusione per un contesto poco incline a rapide e fattive soluzioni».

Friulia replica per bocca della presidente Federica Seganti, appena riconfermata: «Obiettivo di Friulia è sempre tutelare aziende e lavoratori sul territorio, facendoli crescere. Lo facciamo da 55 anni e questa missione resta fondamentale. Il mandato a vendere ci è stato dato dall’imprenditore e la cessione dell’intero pacchetto serve appunto a tutelare al massimo la società senza smembrarla e a difendere il futuro dei suoi dipendenti».

Il futuro parla intanto di 13 settimane di cassa richieste da Tirso. Ma dalla società fanno sapere che questa «è prevista per le ultime due settimane di agosto» e che l’intenzione è riprendere la produzione dai primi di settembre.

Lo consentirebbe la vendita dello stabilimento cinese, fruttata 11 milioni, come confermato da Tirso, che parla di «buon esito della vendita», spiegando che le risorse «saranno utilizzate per corrispondere gli stipendi di luglio e agosto, e per acquistare materia prima per la produzione». Poi la postilla: «I proventi dell’operazione cinese, che si concretizzeranno a step da qui a fine 2024 (due terzi dei ricavati arriveranno fra novembre e dicembre, ndr), non saranno utilizzati per priorità riferibili agli azionisti della capogruppo o delle controllate».

Fuori dagli eufemismi, Tirso dice che gli 11 milioni non serviranno a ripagare il milione e mezzo di Friulia. Ma nulla si aggiunge neppure sulla possibilità di ridurre un’esposizione che, stando alla lettura dei bilanci, conta 4 milioni di debiti verso i fornitori di energia elettrica Edison, Enel e A2A, 3 di tributi, 3 verso istituti di previdenza e 1,5 verso Friulia.

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