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L'omicidio di Capodanno a Udine: la verità dai filmati

Fu davvero soltanto un tentativo di autodifesa? No, per chi indaga. Anderson Vasquez Dipre, il trentaquattrenne dominicano accusato di aver ucciso la mattina di Capodanno Ezechiele Mendoza Gutierrez all’esterno della veranda del Laghetto Alcione di via dei Prati a Udine, ha sempre detto di aver agito per respingere un tentativo di aggressione del trentunenne suo connazionale, ferito con i cocci del calice che aveva in mano.

Difeso dall’avvocato Emanuele Sergo, l’aveva assicurato ai carabinieri che l’avevano arrestato a poche ore dal delitto e ripetuto al pubblico ministero e al giudice per le indagini preliminari durante l’interrogatorio di garanzia, quello che ha portato alla conferma dell’arresto e alla decisione sulla custodia cautelare in carcere.

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Gli elementi messi in fila dalla polizia giudiziaria e dai consulenti coinvolti dal pm Elisa Calligaris dicono altro. E smentiscono, almeno in parte, la ricostruzione di Dipre.

Ci sono due elementi, soprattutto, che fanno vacillare il racconto del 34enne, fermato a poche ore dall’omicidio dai militari dell’Arma in un albergo a Tarvisio, dove si era rifugiato tentando di far perdere le proprie tracce. Da un lato, le telecamere installate fuori dal locale, che hanno ripreso chiaramente le fasi del diverbio tra i due.

Dall’altro, i risultati dell’autopsia sul corpo di Mendoza: per il medico legale Antonio Cirnelli, la ferita di otto centimetri sul collo della vittima testimonia una «vis lesiva consistente» e non è compatibile con quella spinta che l’accusato ha raccontato di aver dato al contendente per allontanarlo.

Punti fermi che, a quasi otto mesi di distanza dal delitto, potrebbero far imboccare l’ultima curva alle indagini preliminari e avvicinare il momento della richiesta di rinvio a giudizio di Dipre, attesa in particolare dai familiari della vittima: la madre Daysi Maria Feliciano, assistita dagli avvocati Luca Umana e Antonio Todaro, e il padre Pedro Antonio Mendoza Gutierrez, assistito dall’avvocato Roberto Mete.

L’autopsia

L’esame necroscopico affidato dal pm all’anatomopatologo Cirnelli ha evidenziato chiaramente la ragione della morte di Ezechiele, un arresto cardiocircolatorio dovuto a uno choc metaemorragico causato da una lesione d’arma bianca, ovvero i cocci del bicchiere branditi nella mano destra da Dipre.

Sul collo del giovane dominicano, i segni della “coltellata”, che ha lesionato la vena giugulare interna sinistra, l’arteria carotide sinistra e l’arteria vertebrale sinistra.

Lesioni che, per Cirnelli, potrebbero benissimo essere state causate dal bicchiere rotto repertato sulla scena del crimine e indicato chiaramente fin dal primo momento, anche dai carabinieri, come probabile arma del delitto.

Per contro il tipo di ferita è, per il professionista incaricato dalla Procura, incompatibile con l’ipotesi di una semplice spinta fortuita: il coccio è affondato nel collo di Ezechiele e da quel punto è stato “trascinato” per parecchi centimetri, fino a poco sopra la fossa giugulare.

L’esame dei video

Sequestrati dai carabinieri del Reparto investigativo di Udine, i filmati registrati dal circuito di videosorveglianza del Laghetto Alcione sono stati analizzati dalla sezione di grafica fonica e informatica del Reparto investigazioni scientifiche di Parma, che hanno lavorato per migliorare la qualità dei video e ricostruire dunque l’azione che ha portato alla morte di Mendoza.

Nel filmato si vede Dipre avvicinare la mano sinistra al collo della vittima, che esce per un attimo dall’inquadratura e riappare sbalzato all’indietro con corpo e capo, come se effettivamente avesse ricevuto un colpo (la coltellata con il coccio).

Ezechiele si rimette dritto, porta la mano destra nella zona del collo, accenna un paio di passi e poi crolla a terra.

A giugno gli investigatori sono tornati sul luogo del delitto e hanno effettuato una ricostruzione della dinamica che ha portato al decesso del trentunenne, basandosi proprio sulle analisi del Ris.

Per i tecnici è andata così: Dipre ha afferrato per la nuca Mendoza, portato il capo del contendente verso di sé e poi lo ha reclinato, per colpirlo con maggior facilità con il bicchiere, in un movimento descritto dai periti come «semicircolare verso l’interno».

Le ferite sulla mano

Dipre - evaso dai domiciliari proprio per partecipare al veglione di Capodanno all’Alcione - aveva tentato di dileguarsi, allontanandosi in fretta e in furia dal luogo del delitto: si fa dare un passaggio dall’ex fidanzata, abbandona il suo cellulare a Orzano (nei pressi del fiume Malina), poi si fa venire a prendere a Udine dai fratelli, che lo accompagnano a Tarvisio.

Qui, nella stanza 317 dell’albergo Nevada, i carabinieri del Norm lo trovano, con i vestiti ancora intrisi di sangue. Sulla mano destra, quella che ha brandito il coccio di vetro, due ferite, una di quindici e una di otto millimetri.

Le ruggini

«Maldicenze e questioni di donne», sintetizzano gli investigatori per descrivere il movente, in uno scenario che apre le porte alla contestazione dei futili motivi.

Le testimonianze raccolte dai carabinieri confermano che tra Dipre e Mendoza non corresse buon sangue: sei mesi prima avevano discusso all’esterno di un locale di Tavagnacco, con «Andy» Dipre che avrebbe denigrato Ezechiele con una sua ex, secondo il racconto di un amico di quest’ultimo.

Lo stesso Dipre non ha negato i precedenti diverbi, confermando pure la diatriba prima dell’omicidio, innescata da uno scambio «di brutte parole in spagnolo». Una tensione ben nota anche a conoscenti e amici dei due: dopo l’omicidio un cugino di Ezechiele viene notato da un avventore del Laghetto Alcione mentre impugna «un machete, aggressivo al punto che pareva stesse cercando qualcuno».

E quel qualcuno era proprio Dipre.

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