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Il dramma della mamma di Alex: «A un mese dalla morte ancora nessuna verità, indagini ferme»

Sabrina Bosser stringe tra le mani un piccolo foglio, con una scritta in stampatello: «Il bisogno più grande di ogni essere umano è avere un obiettivo nel futuro verso cui guardare con speranza, che doni significato e scopo alla propria vita e che dia forza per affrontare le difficoltà del presente». È quello che le rimane di suo figlio, un pensiero scritto di suo pugno.

«Quindi, adesso, lo scopo che avremo nella nostra vita è scoprire la verità – dice – Ci resta soltanto questo». È trascorso quasi un mese dalla morte di Alex Marangon, il barman di 25 anni ritrovato senza vita, dopo tre giorni di ricerche. Sparito nel nulla: scappato, morto suicida, ammazzato. È il continuo saliscendi di ipotesi a cui è stata costretta ad assistere la sua famiglia. A fare da sfondo, il raduno sciamanico a cui il 25enne aveva preso parte, prima che il suo corpo venisse ritrovato su un isolotto del Piave, con il cranio fracassato e le costole rotte. Si indaga per omicidio, ma è ancora un’inchiesta senza nomi.

Sabrina Bosser, è passato un mese dalla morte di vostro figlio Alex...

«Siamo demoralizzati, arrabbiati, perché è tutto fermo. A un mese dalla morte di Alex, eravamo certi che avremmo avuto gli esiti delle analisi tossicologiche. E invece non ce n’è traccia, eppure è questo il fulcro delle indagini».

Perché questo ritardo?

«La dottoressa che abbiamo nominato ci ha spiegato che il laboratorio di Trieste non è in grado di indagare su determinate sostanze: l’ayahuasca, il kambo. Eppure la procura si ostina a proseguire su questa strada. Noi vogliamo che tutte le persone che hanno partecipato a quel raduno vengano sottoposte all’esame tossicologico. Almeno, al test del capello, visto che l’indagine invasiva non si può più fare». Non temete gli eventuali esiti? «Già sappiamo che da quelle analisi verrà fuori di tutto e di più, Alex passerà per drogato. Ma sono pronta tutto, perché voglio la verità. E ormai lo sanno tutti cosa veniva consumato in quei rituali».

Le indagini come procedono?

«All’inizio, la sparizione di Alex era stata presa sottogamba. Poi nostro figlio è stato trovato morto ed è stato aperto un fascicolo per omicidio, ma non è cambiato nulla. Non c’è un indagato. Non è stato sequestrato quasi niente: giusto il diario di Alex, indicato da mio marito, e una tunica, trovata da una giornalista. I curanderos sono stati intervistati dai cronisti prima che dagli investigatori. Il giorno della scomparsa, mio marito ha chiesto ai carabinieri di controllare le stanze dell’abbazia, perché magari nostro figlio si era sentito male. Ma loro ci hanno risposto di non preoccuparci, perché sapevano fare il loro lavoro».

Pensa che ci sia stata una sottovalutazione iniziale?

«Il giorno successivo alla scomparsa di Alex, in quell’abbazia è stato celebrato un matrimonio. La chiesa era tirata a lucido. Se nostro figlio è stato ammazzato lì, le prove sono state eliminate. L’area non è mai stata recintata. E gli inquirenti ci sono tornati solo dopo giorni, per cercare conferme alla teoria del suicidio».

Un’ipotesi alla quale voi non avete mai creduto...

«Alex era pieno di progetti, a partire da un viaggio in Europa con Juliet, una sua amica neozelandese. Sarebbe partito dalla Germania dopo pochi giorni. E in inverno sarebbe tornato in Nuova Zelanda. Nel borsone che si era portato all’abbazia c’era un diario, nel quale annotava i suoi pensieri. Il 29 giugno scriveva: “Mamma, papà, Giada e Juliet mi aspettano”. Le sembra la frase di uno che si vuole suicidare?».

Cos’è successo, secondo voi, quella notte?

«Alex aveva già partecipato a due raduni di quel genere, ma quella era una serata speciale, in un luogo speciale e con i due curanderos. Noi pensiamo che Alex abbia subìto o abbia assistito a una violenza, si sia rifiutato di partecipare o si sia ribellato. E qualcun altro ha reagito, ammazzandolo di botte. Stiamo impazzendo per cercare una risposta. Abbiamo scoperto che esistono dei riti sciamanici, che avvengono il 30 giugno e il 30 dicembre, con il loro apice alle 3 di notte: un sacrificio. Alex è stato ucciso alle 3 di notte del 30 giugno».

Pensate possa essere avvenuto questo?

«Pensiamo che Alex si sia trovato in una cosa più grande di lui. Due notti fa lo abbiamo sognato: io, mio marito e sua sorella Giada. E ci siamo svegliati insieme, all’improvviso, proprio alle 3. Ho visto Alex, sull’argine del Piave, che mi diceva: “Un poco alla volta, un poco alla volta”. Come dire che la verità la dovremo cercare così: piano piano. Non so cosa pensare, mi sembra di ammattire».

Secondo lei, le altre persone che hanno partecipato al raduno sanno cos’è accaduto ad Alex?

«Io penso che queste persone abbiano fatto un voto di omertà, per non dare la colpa a nessuno. Oppure qualcuno ha comprato il loro silenzio o si sentono minacciate. Ma io mi appello alle loro coscienze. Alex le definiva “amiche”, per rassicurarmi, mi diceva che gli volevano bene, che erano una famiglia. E invece lo hanno colpito alle spalle. Sono dei vigliacchi, ecco cosa sono».

Alcuni partecipanti hanno riferito di avere sentito un urlo e poi un tonfo. Non può essere stato un incidente?

«Perché, allora, non hanno chiamato subito i carabinieri, ma lo hanno fatto dopo ore? E perché, quando siamo arrivati a Vidor per cercare Alex, non era rimasto quasi più nessuno? Nemmeno l’assunzione di certe sostanze rende completamente assenti a se stessi. Ringraziamo giusto i sommozzatori, che ci hanno sostenuto in ogni modo».

Lei sapeva che Alex avrebbe preso parte a questo raduno?

«Sì, Alex si confidava con me. Aveva già preso parte a due raduni simili – l’ultimo, giusto una settimana prima – ma erano appuntamenti “ufficiali”, sponsorizzati. C’era chi cantava, chi pregava, chi suonava».

E l’ultimo?

«L’ultimo era diverso, un evento unico in Italia. Aveva qualcosa in più. C’erano i due curanderos, arrivati dalla Colombia. Era stata scelta l’abbazia di Santa Bona. Per partecipare, bisognava essere iscritti a un gruppo Telegram, con sole 167 persone, che ora è stato cancellato. E pagare una quota di 230 euro per un giorno e 400 per due. Giustificavano così la “purga” che avrebbero preso. Così, la chiamano loro...».

E invece cos’era?

«Ayahuasca e veleno di rana, sostanze che Alex aveva già assunto. A me lo aveva solo accennato, ma ne aveva parlato dettagliatamente a sua sorella e ai suoi amici. Erano sostanze toste, ma Alex diceva che gli facevano bene e lo aiutavano a liberare la mente più di una seduta dallo psicologo: ecco di cosa lo avevano convinto quelle persone».

Come si è avvicinato a questo mondo?

«Da anni soffriva d’asma e non riusciva a venirne fuori. Un giorno è andato in un’erboristeria, alla ricerca di qualche rimedio naturale, e lì ha conosciuto un omeopata. È partito tutto da lui. È stato lui a presentargli quelle persone».

Conosce qualcuno dei partecipanti all’ultimo raduno?

«No, ma so che Alex era andato lì con tre persone. Due le aveva conosciute ai raduni precedenti. E poi c’era un terzo ragazzo, che Alex era andato a recuperare alla stazione di Mestre. Non li conosco e nessuno di loro si è fatto vivo con noi. Come, del resto, non ha fatto nessun altro. Ma forse è meglio così, io non credo a quello che dicono, alle loro contraddizioni».

Alex era preoccupato, prima dell’ultimo raduno?

«Sì, ma questo mi è stato detto solo dopo. Alex sapeva quanto sono apprensiva e non me l’avrebbe mai confidato. Quel giorno, prima che uscisse di casa, gli ho detto che ero preoccupata e che le persone con cui si trovava avevano una grande responsabilità. Lui mi ha detto di stare tranquilla, che erano delle brave persone, che sapevano quello che facevano. E mi ha anche rassicurato, dicendomi che probabilmente sarebbe stato il suo ultimo raduno. Lui si stancava in fretta delle cose e aveva già voglia di provare qualcosa di nuovo. Poi mi ha promesso che ci saremmo visti domenica sera, per mangiare una pizza tutti insieme, e ci siamo salutati. Mi ha mandato l’ultimo messaggio il 29 luglio, rispondendo a una foto simpatica che gli avevo inviato».

E poi più niente...

«E poi ce l’hanno ammazzato. Ma noi l’abbiamo promesso: non ci fermeremo finché non otterremo giustizia. Per Alex e per i tanti ragazzi come lui, che ingenuamente si affidano a improvvisati che li riempiono di false promesse, ma che sono soltanto dei ciarlatani senza scrupoli».

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