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Autonomia a ostacoli: serve l’intesa tra Regioni e poi parola ai ministeri

Gli incontri nella Capitale, con il ministro per gli Affari regionali e le Autonomie, si sono susseguiti nelle settimane.

Da una parte del tavolo sedeva Roberto Calderoli, dall’altra i quattro governatori interessati alla riforma federalista: Luca Zaia per il Veneto, Attilio Fontana per la Lombardia, Alberto Cirio per il Piemonte e Alessandro Piana, presidente ad interim della Liguria. Convocati più volte da Calderoli, ma mai riuniti tutti insieme, né ci sono nuovi incontri all’orizzonte.

In ogni caso, è la fotografia della strategia indicata dal ministro leghista: con la proposta di legge per l’Autonomia differenziata, le Regioni interessate devono andare avanti unite, seguendo gli stessi tempi e con lo stesso pacchetto di materie.

È questo il contenuto della relazione del ministro, venerdì scorso in Cdm, ed è pure questo il contenuto della risposta fatta arrivare dallo stesso dicastero ai governatori. Una risposta che Zaia attendeva da tempo, per iniziare operativamente il suo lavoro, convocando consulta e delegazione trattante.

«La risposta c’è stata – fanno sapere fonti ministeriali – non sotto forma di lettera scritta, ma di interlocuzioni, comunque continue».

Come dire: adesso si può finalmente cominciare. A questo punto, la palla è tornata alle Regioni, che si dovranno coordinare per chiedere materie e competenze. Poi, una volta formalizzate le domande, Calderoli trasmetterà tutta la documentazione al Mef, che dovrà indicare il fabbisogno economico relativo al singolo argomento, e ai differenti ministeri coinvolti, che dovranno rispondere nel merito delle facoltà chieste.

Ma – riferiscono sempre dal Ministero – essendo stata approvata la legge, si attendono dei dinieghi soltanto nel caso in cui la devoluzione delle singole competenze dovesse essere contro il dettato costituzionale.

Anche questa fase è accompagnata da tempi certi: 60 giorni per avere le prime risposte dai ministeri e iniziare le trattative. Nell’inerzia dei dicasteri, trascorso quel tempo, il ministero di Calderoli e le Regioni potranno iniziare autonomamente a dialogare.

La fase attuale, dunque, è questa, e vede diversamente coinvolte le quattro Regioni che si sono già fatte avanti. In ordine sparso, però. Perché il Veneto ha bruciato i tempi, inviando praticamente subito la lettera al Cdm, chiedendo l’avvio delle trattative.

La Lombardia non lo ha fatto, pretendendo dall’esecutivo di ripartire dalla pre-intesa firmata con l’allora governo Gentiloni.

Il Piemonte, pure, si è fatto avanti – ma quella di Cirio è una posizione delicata, visti i paletti messi dai compagni di partito del Sud Italia e dallo stesso coordinatore Tajani. Si pensi, ad esempio, che il numero uno di Forza Italia ha già detto di essere contrario a una gestione regionale del commercio con l’estero, materia non Lep, quindi tra quelle potenzialmente devolvibili immediatamente alla gestione locale.

E poi c’è la Liguria, dove a breve si tornerà alle urne per sostituire Giovanni Toti, agli arresti domiciliari; e il cui presidente ad interim certo non gode di un’investitura piena.

E quindi le Regioni si sono mosse un po’ alla spicciolata – proprio nel nome dell’autonomia – e c’è il rischio che continueranno su questa strada.

Per fare un esempio, la Lombardia ha già inviato la sua lettera, chiedendo al ministero di Roberto Calderoli tutte e nove le materie non Lep, eccetto una: quella che riguarda i giudici di pace, il cui status dovrà prima essere definito a livello nazionale.

Considerando la richiesta del ministro di lavorare a un pacchetto di materie uguale per tutte e quattro le Regioni, è possibile ipotizzare che pure il Veneto proporrà di avviare le trattative a partire da questo stock.

È immaginabile, sì, ma non è detto, visto che non risulta che la Regione sia tornata a incalzare formalmente il governo, detto dell’intenzione ripetutamente esplicitata dal governatore Zaia di procedere il più velocemente possibile.

Il tutto, peraltro, si svolge sullo sfondo della “minaccia” del referendum abrogativo, per il quale hanno già firmato online più di 220 mila italiani, quasi la metà del numero necessario.

Il segretario leghista Matteo Salvini, ieri a Desenzano del Garda, si dice tranquillo e rilancia: «Non vedo l’ora che gli italiani si possano esprimere tutti, perché Autonomia significa dare servizi migliori ai cittadini, tagliando gli sprechi».

Mentre il presidente del Friuli Venezia Giulia Massimiliano Fedriga tocca altri tasti e, parlando di quanti si stanno spendendo per raccogliere le firme, sostiene che «stanno facendo disinformazione, soprattutto verso i cittadini del Sud Italia, dicendo che l’Autonomia divide, cosa assolutamente falsa».

Aggiungendo: «Diffidate da quanti stanno raccogliendo le firme, perché sono le stesse persone che hanno introdotto l’autonomia differenziata nella Costituzione. E adesso, invece, raccolgono le firme: è alquanto particolare».

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