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Terzo settore: il telemarketing della beneficenza

Cresce anche in Italia la deriva commerciale della beneficenza. Con Ong e Onlus che si rivolgono a società di telemarketing specializzate nella caccia a potenziali donatori. Un business florido da milioni di telefonate. Lecite, per il Garante della privacy.

C’è chi tramite l’acquisto di un pacchetto dati web in zone extra Ue ha deciso di donare un euro alla Ong partner dell’azienda e quando è rientrato in Italia ha ricevuto una chiamata dall’operatore di un call center che ha esordito con queste parole: «Bentornato dal viaggio in Turchia! Vuole sostenere ulteriormente l’associazione?». Ovviamente l’utente si è chiesto se qualche garanzia a tutela della sua privacy sia stata dribblata con una certa faciloneria. Dopotutto, l’operatore che ha chiamato era a conoscenza della destinazione del viaggio e della data di rientro in Italia, che coincideva con il giorno della scadenza del pacchetto dati web acquistato. In un altro caso il contatto è partito da un operatore che si è presentato come responsabile di Save the children. L’utente ha provato a sostenere un concetto semplice con una frase secca: «Vorrei fare beneficenza quando lo decido io». E si è beccato questa risposta: «I bambini stanno morendo ora. Li terrà sulla coscienza».

A Panorama sono stati forniti i numeri di telefono dai quali erano partiti i contatti. E abbiamo scoperto che molte Onlus e Ong appaltano il fundraising a call center specializzati. L’amministratore delegato di uno di questi, Luca Leopizzi della Blu servizi Spa, si è giustificato c spiegando: «A volte i ragazzi possono risultare un po’ insistenti, ma lo fanno sempre con educazione». E ha marcato subito una certa distanza all’interno di un mondo che durante la chiacchierata è apparso come particolarmente «selvaggio»: «Noi non compriamo contatti, chiamiamo per una semplice sollecitazione soltanto chi ha già fatto beneficenza».

Ed è bastato seguire le sue involontarie indicazioni per scoprire, dietro le quinte della lodevole carità, l’esistenza di un mercato del telemarketing no profit. «La nostra azienda può fornirti delle banche dati utili per attività di telemarketing indicate per associazioni no profit e Onlus», pubblicizza la Elenchi telefonici Srl di Verzuolo (Cuneo), che commercia le profilazioni di cittadini alle associazioni di volontariato. Ogni contatto naturalmente ha un costo. E più l’identikit è dettagliato, con informazioni sulla provenienza e sulle preferenze, più i prezzi salgono. Ma, consigliano da Italia non profit, sito web punto di riferimento per la miriade di volontari appartenenti al terzo settore e che dispensa consigli su come «scoprire la filantropia vicina a te», sono «sempre meglio liste calde di donatori propri» rispetto a quelle «acquistate».

E in una delle pagine consultabili vengono spiegate le finalità del telemarketing: «L’ente chiama i donatori o i potenziali donatori con questi principali obiettivi, acquisirne di nuovi, aumentare la donazione, fidelizzare e coccolare i donatori, riattivare donatori non attivi da tempo». È la tendenza commerciale della beneficenza. Che a volte si trasforma in una fabbrica. La Metadonors di Prato, per esempio, pubblicizza sul suo sito di essere riuscita a raccogliere 25 milioni di euro di donazioni in un anno per i propri clienti (dell’importanza di Wwf, Greenpace, Medici senza frontiere, Amnesty international). I donatori contattati? 250 mila. Con soluzioni mirate per Associazioni di promozione sociale e Onlus, enti religiosi, fondazioni filantropiche e anche organizzazioni politiche. La milanese Atlantis, invece, promette addirittura un «Piano» per gestire «i donatori regolari».

Ma è tutto davvero regolare? L’Authority per la privacy si è posta la questione. E ha emanato delle linee guida. Per «finalità di fidelizzazione», spiega il Garante, «il presupposto di legittimità del trattamento appare individuabile esclusivamente nel consenso dell’interessato raccolto da parte degli operatori telefonici nel corso dell’operazione di donazione». È tutto legale, quindi, se ci sono le autorizzazioni del donatore. Il Garante ritiene che «la finalità di ricontatto del donatore del terzo settore assuma caratteristiche diverse dalle tradizionali attività di marketing commerciale», perché «intraprendono azioni di comunicazione e sensibilizzazione sociale funzionali prevalentemente al reperimento di sostenitori» e pertanto si tratta di «attività rispetto alle quali è possibile riconoscere un particolare atteggiamento di favore del legislatore».

La legge insomma è dalla parte di Onlus e Ong che si affidano a questi call center. Purché venga rispettata la privacy e sia stato raccolto il consenso. Con le porte della privacy spalancate, dunque, gli enti del terzo settore hanno scelto di investire sul telemarketing. Save the children, per esempio, nel bilancio di esercizio ha inserito 23 milioni di euro di oneri per la raccolta fondi. Voce nella quale con molta probabilità sono compresi i costi per l’utilizzo dei call center. Greenpeace, invece, è più dettagliata: spende oltre due milioni di euro l’anno per l’acquisizione di nuovi sostenitori e 500 mila per sollecitare quelli già esistenti.

Di lavoro per i call center della beneficenza, insomma, ce n’è. E gli annunci sul web per la ricerca di personale si sprecano. Si lavora da casa, in smartworking. Ed è richiesta «ottima dialettica, capacità di ascolto», ma soprattutto «di gestione delle obiezioni». A seguito delle quali scatta il pressing sul donatore. Il traffico delle buone azioni.

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