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Smashing Pumpkins: Aghori Mhori Mei è un ritorno alle origini



«Durante la stesura di questo nuovo album sono stato incuriosito dal noto assioma “non si può tornare a casa di nuovo”. Che, personalmente, ho trovato vero nella forma. Ma poi ho pensato: e se ci provassimo lo stesso? Non tanto per guardare al passato con sentimentalismo, ma piuttosto come mezzo per andare avanti. Per vedere se, nell’equilibrio di successi e fallimenti, il nostro modo di fare musica del 1990-1996 potesse ancora ispirare qualcosa di rivelatore». Parola di Billy Corgan, carismatico frontman degli Smashing Pumpkins, band di culto dell’alternative rock americano, che aveva annunciato due settimana fa l’uscita, a sorpresa, del nuovo album Aghori Mhori Mei, il tredicesimo della loro fortunata carriera (30 milioni di dischi venduti).

L’impressionante somiglianza di Corgan con l’attore Klaus Kinski in Nosferatu, il principe della notte, diretto da Werner Herzog, ben rappresenta visivamente la poetica degli Smashing Pumpkins, nella cui musica le tenebre sovrastano sempre la luce. La band di Chicago si è messa in luce all’inizio degli anni Novanta, periodo dominato dalle sonorità catatoniche del grunge, con la sua singolare alternanza tra melodie oniriche e scariche di adrenalina tipicamente hard rock, suoni ruvidi e riff abrasivi. I loro testi, angosciate testimonianze di una generazione che non riesce più a immaginare il suo futuro, sono entrati in sintonia con il mood dell'epoca, facendo guadagnare agli Smashing Pumpkins milioni di fan in tutto il mondo.

Dopo la monumentale (e prolissa) opera rock in tre capitoli Atum: A Rock Opera in Three Acts dello scorso anno, la band americana ha pubblicato oggi un disco relativamente breve, 10 canzoni per 45 minuti, scritto, prodotto e registrato interamente da Corgan con gli Smashing Pumpkin, che segna un evidente ritorno allo stile che li ha resi celebri negli album-capolavoro Mellon Collie And The Infinite Sadness e Siamese Dream. Un album che, nelle intenzioni del frontman, andrebbe ascoltato dall’inizio alla fine, senza saltare da un brano all’altro come si è soliti fare oggi: «Inizialmente lo pubblicheremo solo in digitale. Certo, vogliamo venderlo e lo faremo, ma intanto vogliamo farlo uscire. Siamo orgogliosi di quello che abbiamo fatto, ma vogliamo che sia il pubblico ad ascoltarlo come un’unica opera e poi a stabilire il valore di quello che abbiamo fatto». Aghori Mhori Mei non è stato annunciato da nessun teaser o singolo, una scelta singolare per il music biz di oggi, che non ha fatto altro che aumentare l’attesa da parte dei fan della band americana.

Le prime impressioni, a partire dal brano iniziale Edin in pieno stile grunge, sono molto positive: l’ arpeggio introduttivo lascia presto spazio a ruvidi riff di chitarra in stile Black Sabbath, mentre la voce di Corgan è intima ed espressiva come nei suoi lavori migliori. Pentagrams e 999 mostrano il lato più progressive degli Smashing Pumpkins, abili a rendere composizioni complesse e stratificate assolutamente gradevoli all’ascolto. War Dreams of Itself e Sicarus hanno l’energia grezza e disperata di Bleach dei Nirvana, oltre a mostrare le straordinarie doti tecniche del chitarrista James Iha (sostituito recentemente dal vivo dalla nuova chitarrista Kiki Wong), che è tornato, dopo anni di sperimentazioni spesso cervellotiche, a fare ciò che conosce meglio, cioè grandi riff e grandi assoli.

Un altro dei punti di forza della band è il drumming implacabile dello storico batterista Jimmy Chamberlin, ben supportato dal basso di Jack Bates (figlio di Peter Hook, membro fondatore dei Joy Division e dei New Order) e dalle tastiere cinematiche di Katie Cole, che presta la sua voce delicata ai cori. Pentecost e Murnau sono brani in cui l’orchestra è la grande protagonista, mentre Who Goes There è la canzone più diversa dal loro consueto stile, un mix tra un arioso brano yacht rock e un pezzo dream pop alla Beach House. Tra i (pochi) brani mid-tempo di Aghori Mhori Mei, spicca la splendida Goeth the Fall, che farà venire i brividi a chi ha amato 1979: dalla melodia al maestoso ritornello, passando per il bridge, Goeth the Fall ha tutte le qualità per diventare un classico nel repertorio degli Smashing Pumpkins.

Forse è dai tempi di Oceania del 2012 che la band americana non pubblicava un album così ispirato, compatto, ricco di chitarre ruggenti e di melodie memorabili. Aghori Mhori Mei è un progetto che è riuscito perfettamente nell’intento di andare verso il futuro prendendo il meglio di quanto fatto dalla band in passato: un ritorno in grande stile, che potrebbe diventare la grande sorpresa rock del 2024.

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