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“Dio è sarto. Il saio? Non servono sfilate inutili. La moda femminicida usa corpo delle donne per dirigere il mercato”: parla il frate teologo Alberto Fabio Ambrosio

Eppure nessuno potrebbe minimamente pensare di poter coniugare due mondi che sembrano apparentemente così distanti tra loro: la Chiesa e la moda, ma al Frate 52enne Alberto Fabio Ambrosio la missione è riuscita. Domenicano, teologo è esperto di sufismo e di Islam. Poi nel 2018 la folgorazione con il mondo della moda, grazie ad una copertina di Vogue e da allora Frate Ambrosio mette assieme i dettami della teologia con lo studio del mondo fashion. A raccontare la sua storia è Il Corriere della Sera.

Frate Ambrosio non indossa il saio bianco: “Sarebbe stato troppo facile. Mi arrabbio sempre anche con i miei confratelli, ci sono momenti e momenti per indossarlo. Non servono a niente le sfilate inutili. Nei primissimi anni anche io, quando ero diacono, lo portavo ma adesso mi sono liberato. Non è necessario diciamo mettere le mani avanti e incasellarsi”.

Il compito è chiaro: “Da ormai più di cinque anni mi dedico alla ricerca delle interazioni fra moda e religioni, tra vestito e sacro e per questo dirigo un seminario di ricerca a Parigi, dove vivo, e un’equipe di ricercatori in Lussemburgo. Non è stato Dio a creare il primo abito per Adamo ed Eva? Nella Bibbia la dimensione di Dio sarto è molto sviluppata. Essendo domenicano, è stato quasi istintivo avere questo approccio. Non dal punto tecnico, non ne sarei stato in grado. Non faccio nomi né entro in merito a tendenze. Non volevo entrare nell’arena e fare il moralista”.

Il colpo di fulmine risale a gennaio 2018: “Comprai un numero di Vogue. Ero con un amico e, dopo aver detto messa, sono entrato in un chiosco di giornali a Lussemburgo e l’occhio mi è caduto lì. Alla chetichella, sì, ma l’ho comperato. Anche se mia madre leggeva Grazia. Comunque, nel 2018 mi sono abbonato a Vogue, è stata una fase. Ho avviato il progetto di ricerca in Lussemburgo e nel 2019 il seminario a Parigi sulla moda. Nel 2020 il primo libro, ‘Dio tre volte sarto. Moda, Chiesa e Teologia’ e poi ho continuato con ‘Moda e religioni, vestire il sacro, sacralizzare il look’, ‘Il vangelo delle vanità. Moda e spirito’ e ho chiuso il cerchio con ‘Critica della moda pura‘”.

Ma il pallino della moda era già nel DNA: “Sono cresciuto con una madre sarta, conosco e faccio sempre tante domande su quello che vorrei acquistare. E sì, lo ‘confesso’, mi piacciono gli abiti belli, quelli tagliati bene. E ne ho, parecchi. Comunque, saio o doppiopetto, sinceramente, non vedo la differenza. Resto chi sono e non ringrazierò mai abbastanza di vedere il mondo con gli occhi di un religioso”.

Infine il frate parla nei suoi libri anche di moda “femminicida”: “È un’estremizzazione, certo, come potrebbe definirla se non così? Non prende forse sempre di mira il corpo delle donne per poter dirigere il mercato?”.

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