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I genitori di Mario Paciolla vogliono solo la verità. Ma tutto va in direzione opposta

I genitori di Mario Paciolla vogliono solo la verità. Ma tutto va in direzione opposta

Ho negli occhi gli occhi di Anna e Pino Paciolla incontrati venerdì sera a Latina: vogliono una cosa semplice e giusta, che rischia però di apparire sempre più “strana”, la verità sulla morte di Mario. L’occasione è stata una importante iniziativa pubblica promossa da Articolo 21 a Latina venerdì scorso (vigilia dell’anniversario della strage di […]

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Ho negli occhi gli occhi di Anna e Pino Paciolla incontrati venerdì sera a Latina: vogliono una cosa semplice e giusta, che rischia però di apparire sempre più “strana”, la verità sulla morte di Mario. L’occasione è stata una importante iniziativa pubblica promossa da Articolo 21 a Latina venerdì scorso (vigilia dell’anniversario della strage di Bologna), insieme ad Anpi, Cgil e diverse realtà locali, con la proiezione dell’inchiesta giornalistica “Gioventù Meloniana”: nella speranza che di città in città, questa modalità diventi una vera e propria “carovana” permanente per la libertà di informazione, tanto minacciata, quanto essenziale.

Anna e Pino Paciolla, con i quali mi sono fermato a parlare al termine della manifestazione, stanno aspettando la decisione del Tribunale sulla seconda richiesta di archiviazione avanzata dalla Procura, a cui si sono comprensibilmente opposti. Mario non si è ucciso, Mario è stato ucciso perché diventato un testimone scomodo di dinamiche indicibili interne alle Nazioni Unite in Colombia: questo è quanto chi ha approfondito fino a qui i fatti certi e disponibili pensa senza dubbio (me compreso), ma altro è che questi fatti vengano messi a fondamento di un processo che certifichi le responsabilità personali di natura penale di coloro che hanno provocato la morte di Mario e tra questi, molto probabilmente, personale Onu.

Si direbbe: tra il “dire” e il “fare” ci sta di mezzo, ancora una volta, quell’ingombrante principio di legalità, che presuppone l’uguaglianza difronte alla legge, che a sua volta muove dalla idea dirompente che ogni persona sia portatrice di una medesima dignità, incomprimibile.

L’impegno dei familiari di Mario Paciolla, così come di quelli di Luca Attanasio, di Giulio Regeni, di Andy Rocchelli, riveste un valore universale per tutti i democratici rimasti in circolazione proprio perché esige che la verità venga cercata e trovata (!) attraverso l’applicazione della legalità, cioè attraverso indagini e processi.

Cercare verità attraverso la legalità democratica è oggi un atto rivoluzionario che merita non soltanto rispetto e commozione, ma anche concreta mobilitazione.

Perché è un atto rivoluzionario?

Perché tutto (o quasi) va nella direzione opposta. La “verità” non esiste: la narrazione della realtà è appannaggio della propaganda di chi ha più forza con conseguenze devastanti a monte e a valle. A monte, perché sostituire la ricerca della verità con la propaganda significa mortificare in ogni modo il giornalismo serio attraverso le querele e le azioni civili intimidatorie, la caccia alle fonti, la concentrazione delle proprietà editoriali, il controllo politico del servizio pubblico radiotelevisivo, la confusione tra potere mass mediatico e potere politico… tutte cose che accadono copiosamente in Italia, tanto da far sprofondare il nostro Paese nelle classifiche internazionali sulla qualità dello stato di diritto.

Significa inoltre mortificare l’indipendenza e l’efficacia della magistratura, esercizio anche questo tanto caro a questa destra di “eredi-al-quadrato” (del Duce e di Berlusconi).

A valle, questa sostituzione tra ricerca della verità e propaganda produce da un lato spiegazioni “tossiche” di fatti importanti, recenti o passati, dall’altro produce una crescente diffidenza proprio nelle procedure democratiche dedicate alla ricerca della verità, in un circolo vizioso che si autoalimenta e finisce con l’avvelenare i pozzi: nessuno più crede alla onestà di un giornalista, di un giudice, di uno scienziato.

Ma quando non c’è più nessuno di cui ci si può fidare, cessa di esistere la possibilità stessa di uno spazio pubblico, di una re-pubblica, resta soltanto il “clan” di appartenenza come origine e garante di una “verità” e di un ordine, prodotti e imposti attraverso la nota sintassi fatta di arbitrio, obbedienza, vendetta.

Alzando gli occhi dalle meschine vicende della destra italiana che fa sistematico ricorso a queste “sostituzioni”, non è forse questo il tratto caratteristico dello scenario internazionale nel quale viviamo, che seppellisce ogni giorno di più la ricerca di composizione legale dei conflitti a vantaggio del più spiccio ricorso alla guerra, alla rappresaglia, al terrorismo? Non va forse in questo senso anche lo spettacolare scambio di prigionieri tra Usa e Russia?

Non importa chi sia buono, chi cattivo, chi innocente, chi colpevole, chi eroe, chi infame, importa la volontà del “principe” di derogare ad ogni regola pur di trovare un accordo vantaggioso per la conservazione del proprio potere.

Davanti all’irruzione dell’arbitrio che fa saltare ogni regola per convenienza, restano sconcertati Anna e Pino Paciolla, ma anche i rappresentanti sindacali dei Carabinieri italiani che, per bocca di Unarma, hanno sollevato il sospetto inquietante che pure il rientro in Italia di Chico Forti sia stato barattato con la riduzione di pena dei due americani che hanno assassinato il collega carabiniere Mario Cerciello Rega.

Senza fiducia salta la democrazia: i neri (e i loro amici) scommettono proprio su questo.

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