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Suicidi in divisa: una strage silenziosa

Dall’ultima settimana di luglio ai primi giorni di agosto, cinque appartenenti alle forze dell'ordine si sono tolti la vita. Una strage silenziosa che ha visto dall'inizio del 2024, ben 39 suicidi tra poliziotti, carabinieri, finanzieri e altri operatori in divisa.

Cinque suicidi in dieci giorni


Il 24 luglio, a Formia, un maresciallo della Guardia di Finanza di 51 anni si è tolto la vita con la pistola di ordinanza. Pochi giorni dopo, il 1° agosto, un carabiniere in congedo di 67 anni si è suicidato in provincia di Rieti. Il 2 agosto, a Palermo, un agente della Polizia Penitenziaria si è sparato mentre era in servizio sul muro di cinta della Casa Circondariale Ucciardone. Il giorno successivo, il 3 agosto, un giovane carabiniere di 22 anni si è sparato a casa di un parente a Viareggio, e si trova ancora oggi in condizioni gravissime. Infine, il 4 agosto, un poliziotto della Polizia Ferroviaria di circa quarant’anni si è tolto la vita nella sua abitazione a Mirano, in provincia di Venezia.

La carabiniera Beatrice Belcuore: un nome tra i tanti

Tra le vittime di questo fenomeno c’è anche Beatrice Belcuore, che si è tolta la vita lo scorso aprile a 25 anni con la sua pistola di ordinanza nella Scuola allievi marescialli di Firenze. Il suo caso è tornato sulle cronache nazionali in questi giorni dopo che il giornalista Simone Innocenti del Corriere Fiorentino è stato indagato dalla procura di Firenze, con perquisizioni a casa e in redazione, per concorso con uno o più pubblici ufficiali di rivelazione e utilizzo di segreto d'ufficio. L'indagine è stata avviata in seguito a un articolo di Innocenti, che ricostruiva le ultime ore di Beatrice.

Le cause di un fenomeno in crescita

L'analisi del fenomeno dei suicidi nelle forze dell'ordine e nelle forze armate risulta incompleta. Le amministrazioni, il Ministero dell'Interno e il Ministero della Difesa non registrano gli eventi che si verificano al di fuori delle caserme e dei comandi. Mentre l’Osservatorio Epidemiologico della Difesa (OED) che monitora i suicidi e i tentativi di suicidio nelle Forze Armate dal 2006, per analizzare e prevenire il fenomeno ha registrato tra il 2006 e il 2018 (ultimi dati disponibili), 228 suicidi e 21 tentativi di suicidio. Anche i dati raccolti da associazioni private e gruppi sui social, come l'Osservatorio Suicidi in Divisa (Osd), sono parziali, basati su segnalazioni che a volte non comprendono tutti i casi, specialmente se la famiglia decide di non rendere pubblica la notizia. Questa scia di suicidi rappresenta non solo una tragedia personale e familiare, ma sembra un fallimento collettivo nel fornire un adeguato supporto psicologico e umano a coloro che dedicano la propria esistenza alla nostra sicurezza. Il problema principale è rappresentato dalla cultura del silenzio che avvolge la salute mentale nelle forze dell'ordine. Chiedere aiuto viene spesso visto come un segno di debolezza e rimane un tabù che molti temono di infrangere per paura di ripercussioni o di essere giudicati. Questa mentalità frena molti nel cercare il supporto necessario per affrontare lo stress cronico e il trauma emotivo derivanti dal loro lavoro. Le difficoltà che contribuiscono al malessere tra gli operatori delle forze dell'ordine sono molteplici e interconnesse. La pressione costante e le situazioni ad alto rischio possono portare a burnout e stress intenso. Lavorano spesso con mezzi obsoleti e in ambienti inadeguati, il che può aggravare ulteriormente il loro stato psicologico. La carenza di organico comporta carichi di lavoro eccessivi e turni prolungati, compromettendo il loro benessere.

Inoltre il clima di scarsa collaborazione tra colleghi e fenomeni di mobbing contribuiscono a creare un ambiente di lavoro ostile e stressante. A queste criticità professionali si aggiungono dimensioni private e personali, come difficoltà familiari o problemi di salute, che complicano ulteriormente la gestione dello stress lavorativo. In questo contesto, la mancanza di supporto adeguato può portare a esiti tragici, come il suicidio, che rappresenta una conseguenza drammatica delle pressioni quotidiane e delle difficoltà nel cercare e ricevere aiuto. «Nonostante i progressi significativi nella cura della depressione e il miglioramento del monitoraggio dello stress lavorativo, il numero di suicidi non sembra diminuire» ci ha spiegato Marco Strano, Capo del Dipartimento di Psicologia Militare e di Polizia di Unarma sindacato carabinieri.

Ma per quale motivo? «Forse perché le iniziative delle amministrazioni non sono efficaci. Come Unarma, abbiamo attivato uno sportello di supporto esterno che riceve telefonate soprattutto durante la notte. Questo servizio, anonimo e gratuito, è attivo da quattro anni e gestiamo una o due chiamate per notte da persone con diversi tipi di disagio. Queste persone preferiscono parlare con noi piuttosto che con le strutture ufficiali, esitano a chiedere aiuto perché sanno che, per l'amministrazione, la sicurezza viene prima del supporto poiché, secondo il regolamento, chi manifesta disagio come anche un semplice stato ansioso potrebbe dover affrontare un iter che include il ritiro dell'arma e la sospensione dal servizio. Invece quando ci troviamo di fronte a casi gravi, consigliamo di rendere pubblica la situazione e lasciare che si proceda di conseguenza. I disturbi temporanei depressivi, se trattati tempestivamente, possono essere risolti, mentre se diventano cronici portano a problemi gravi».

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