Da Instagram a WhatsApp, tutti i divieti delle app insostituibili
La Turchia ha bloccato l'accesso a Instagram. L'Autorità di regolamentazione delle tecnologie e dell'informazione non ha chiarito i motivi della scelta, ma alcuni esponenti del governo di Erdogan hanno dichiarato che la piattaforma non rispetta determinate norme. Da una parte c'è chi ha spiegato le cause indicando l'incitazione alla tortura e alle oscenità, dall'altro lato si sono levate forti critiche verso Meta per la rimozione di messaggi di condoglianze verso i palestinesi dopo l'uccisione di Ismail Haniyeh, uno dei leader di Hamas. Che a differenza dei paesi occidentali, non reputa quest'ultima una organizzazione criminale. Al di là delle intenzioni di Meta e del governo turco, il risultato è che oltre 50 milioni di utenti turchi non possono collegarsi al proprio account Instagram. Senza sapere se e quando il ban sarà rimosso.
Per noi e tanti altri milioni di persone nel mondo non è semplice comprendere cosa significa non poter utilizzare determinate applicazioni o servizi, perché non abbiamo mai ricevuto stop dall'alto. Uno scenario diffuso in tanti paesi, per differenti motivazioni, a partire da religione, politica e sicurezza nazionale. Il tema è tuttavia al centro del dibattito anche in Europa e soprattutto Stati Uniti, se si parla di TikTok. L'applicazione sviluppata dalla cinese ByteDance è da anni bersaglio degli strali americani, prima con la presidenza Trump e poi nell'era Biden. Nel corso del tempo sono stati sempre di più i paesi che hanno vietato in maniera totale o parziale TikTok. Dai tanti Stati Usa a Canada, Regno Unito, Australia e Nuova Zelanda, passando per Francia, Belgio, Paesi Bassi, Danimarca e Norvegia, TikTok è stata rimossa da tutti i dispositivi dei dipendenti pubblici (in Francia stop anche a Netflix, Instagram e le altre app considerate ricreative).
Non c'è stata titubanza ma blocco totale dell'app cinese in India sin dal 2020, come pure in Nepal, dove TikTok è considerata un elemento di disturbo dell'armonia sociale. Indonesia e Bangladesh si sono aggiunte all'elenco, parlando di diffusione di contenuti inappropriati. In Paesi guidati da regimi di diversa natura, come Iran e Turkmenistan (dove c'è l’obbligo di giurare sul Corano per ottenere una connessione internet domestica), la lista dei divieti è lunga e va oltre Facebook e Twitter, in quanto colpisce tutti i social media occidentali. Contesto simile in Russia, Corea del Nord e Cina, dove specie nel primo caso si fa largo uso di Vpn (le reti virtuali con cui aggirare il blocco).
Potrebbe apparire sorprendente ma ci sono paesi in cui non è possibile utilizzare neppure WhatsApp. Il riferimento non è solo a Siria, Cina e Nord Corea, perché sullo stesso piano ci sono Qatar ed Emirati Arabi Uniti, dove domina la stranezza: sono consentiti i messaggi audio e testuali, non sono permessi chiamate e videochiamate. Diverso il caso Usa-Kaspersky, con i primi che dal prossimo settembre escluderanno dal mercato interno la compagnia nota per antivirus e soluzioni informatiche contro i cybercriminali: gli americani accusano l'azienda di essere vicina all’intelligence russa, prospettiva ripetutamente smentita da Kaspersky. Un caso che ha riguardato l'Europa si è verificato nelle scorse settimane in Spagna, con l'agenzia nazionale per la protezione dei dati che ha vietato a Meta di implementare su Facebook e Instagram due nuovi strumenti dedicati alle elezioni in proiezione del voto per il Parlamento europeo. Anche in questo caso il botta e risposta tra le parti ha avuto vita breve, perché gli iberici hanno bloccato le novità.
Anche in Africa ci sono ban e restrizioni, con la Nigeria che a inizio anno ha revocato il blocco di X (il fu Twitter), deciso dall'ex presidente Muhammadu Buhari, dopo che la piattaforma aveva rimosso un suo tweet perché incitava alla violenza etnica. La scorsa estate, invece, il governo della Somalia ha introdotto restrizioni per TikTok e Telegram, percepiti come “strumenti utilizzati per diffondere disinformazione e immagini oscene”. Tornando all'attualità, ai Giochi Olimpici di Parigi non c'è spazio per Grindr, una delle più popolari app per persone LGBTQ+. Una mossa voluta dalla stessa compagnia per evitare rischi agli atleti: “Se qualcuno non ha fatto coming out, oppure proviene da un Paese in cui essere LGBTQ+ è illegale o pericoloso, l'utilizzo dell'app lo espone al rischio di essere identificato”. Per tale motivo, al fine di proteggere la privacy degli sportivi, alcune funzionalità per la condivisione della posizione sono state disattivate fino al termine delle Olimpiadi.