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Il Mistovoci senza panna con il poliedrico Andro Merkù

Probabilmente Andrea non lo chiama nessuno, per tutti è Andro, il poliedrico Merkù, triestino del 1963, dotato — sin da bimbo — di una estesa scala vocale per cui imitare i professori non rappresentò mai un problema. «Gli inizi di un mestiere — precisa lui — cominciano a manifestarsi solitamente a scuola per proseguire, semmai in seguito esploda il talento, sul palcoscenico della vita».

Arriviamo al dunque: l’artista col suo pianoforte sarà protagonista di un recital programmato per oggi, giovedì 8, alle 21, in piazza Unità a Tarvisio a ingresso libero. Titolo: “Mistovoci senza panna”.

La panna le è indigesta, Andro?

«Ma no, è soltanto un modo per dire che preferisco il gelato così com’è senza l’aggiunta di altri ingredienti. E ciò ha un significato ben preciso: io in scena non uso maschere, non uso trucchi, non uso parrucche, non cambio occhiali e né tanto meno abiti. Vedrete un Merkù al naturale, con semplicità. Io, le mie imitazioni e il mio piano».

Sa cosa mi viene in mente?

«Devo preoccuparmi?

Stia tranquillo, nessun pericolo. Associo questa sua apprezzata semplicità al tiratore olimpionico di pistola turco che si presentò alla finale come se stesse andando alla Coop con la moglie. Sbaglio?

«(Ride) La ringrazio. Non speravo tanto, anche perché lo sportivo è diventato un caso a Parigi 24 proprio per la sua distanza dall’opulenza dell’evento. Nel mio piccolo, come dicevo, l’unica arma che sfoggio è la voce, fine. Posso aggiungere una cosa a cui tengo?

Lo spazio è tutto suo Merkù.

«Grazie. Allora. Il mio lavoro, come molti sanno, è la radio. Assieme a tre colleghi conduco da un anno “Bonjour Bonjour”, il morning show di Radio Montecarlo. È usanza, fra di noi, citare gli altri durante un’intervista. Ed eccomi qui ad abbracciare virtualmente gli amici Mattia Brena, regista, Stefano Andreoli, Monica Sala e Davide Lentini».

Una curiosità: da quando suona?

«Mio padre era un musicista e, grazie a lui, cominciai a frequentare i concerti di classica. Negli anni mi resi conto che la tastiera bianco&nera era più congeniale di quella con le corde e passai al piano».

Due attività impegnative che si compensano, certo, ma non coi tempi, immagino.

«Richiedono entrambi un minuzioso lavoro di preparazione. I testi e le parodie me le scrivo da solo ed ecco spiegato perché le date del mio show sono contate».

Quando scoprì di avere l’ugola malleabile?

«Appena riuscii a duplicare le tonalità vocali dei parenti. Anche mia sorella, per dire il vero, imitava molto bene, poi scelse altre arti. Quindi toccò ai miei insegnati, ma non finì sempre in allegria: in condotta viaggiavo sull’otto a un nulla dal baratro. Qualcuno si divertiva, altri meno. Così come oggi i politici, soprattutto quando stavo alla “Zanzara”. Qualcuno pure non gradì».

Quante imitazioni conta nel suo repertorio? Sul quale svetta, mi permetta, Papa Francesco!

«Una settantina, ma ne ho provate almeno il triplo».

New entry?

«Paolo Del Debbio, Iginio Massari, Alessandro Barbero. Ci sarebbe anche Sinner, ma devo applicarmi ancora. E capire se fa ridere. Mmm, non so».

Uno che non è piaciuto?

«Ezio Greggio. Voce quasi uguale, mi permetto, ma la gente non lo voleva sentire, più o meno come il povero Luciano Onder.

Ornella Vanoni?

«Un grande classico. La imitano in tanti, ma piace sempre».

È mai finito nei guai?

«Quando con la voce di Renzi chiamai monsignor Paglia in Vaticano. Nessuno di loro mi querelò, ma venne fuori, guarda caso, un vecchio avviso di garanzia di quando come Luciano Moggi chiamai Tavecchio. Passai otto anni in tribunale».

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