Tuffi, piedi in acqua, pedalò in canale: a Venezia vince il turismo cafone
Tuffi, parkour, bagni improvvisati nei canali, giri in bicicletta tra le calli e bivacchi ai piedi dei ponti. Ogni anno la stessa storia, ogni estate Venezia diventa un lido a cielo aperto, un lembo di terra sull’acqua dove si può camminare anche a piedi nudi, quasi fosse la passerella di plastica che porta alla battigia. O un luna park, dove tra un’attrazione e l’altra si tira fuori dallo zaino il sacchetto del pranzo, per mangiarlo seduti ai bordi della strada. Il tema del turismo cafone non è di certo nuovo, ogni anno si ripresenta con il mantra di episodi che vedono al centro vacanzieri che scambiano gli angoli del centro storico per latrine e angoli picnic, a seconda dell’esigenza.
Il tutto mentre i veneziani - almeno quelli che non lucrano sulle orde ciabattanti e con ventilatore da passeggio al collo - sono sulla soglia della claustrofobia. L’ultimo episodio in cui la città è stata violata, e con lei la sua storia, la sua arte e la concezione stessa che si ha di Venezia, risale alla vigilia del Ferragosto, quando in due hanno fatto il bagno nelle acque davanti al cimitero di San Michele, anch’esso ormai meta di turisti che ci organizzano persino picnic. Dopo panini e bibite tra le tombe e riposini sulle lapidi, un tuffo davanti alla chiesa in cui vengono celebrati i funerali, non poteva mancare. I tuffi del resto non sono una novità, nell’estate più calda della storia.
Lo scorso luglio un 48enne lituano, ubriaco, ha ricevuto 800 euro di multa e un ordine di allontanamento immediato dalla città, dopo un bagno in Canal Grande, appena fuori dalla stazione da cui era arrivato. Prima ad essere multato era stato un giovane vicentino, pizzicato dai vigili che l’hanno visto in acqua e poi l’hanno rintracciato nascosto in una calle seguendo le impronte dei suoi piedi nudi bagnati sui masegni. Non c’è solo chi prende la rincorsa e si lancia nel Canal Grande, ma anche chi si accontenta di farsi un giro in pedalò a Murano, o di mettere a mollo i piedi per un po’. Così, le fondamente diventano dei moli, i sandali abbandonati vicino a sé e, perché no, magari uno spritz in mano, con le gambe a penzoloni nell’acqua che, diciamolo, non è che sia poi così invitante.
Poi ci sono gli amanti delle biciclette, del turismo slow e sostenibile, che non mettono in conto il fatto che Venezia non sia una città come tutte le altre e che tra calli e callette, di piste ciclabili non ci sia proprio l’ombra. Lo scorso luglio, a tal proposito, due turisti polacchi erano stati multati per essere arrivati sotto il campanile di piazza San Marco in bicicletta. Gli ultimi di una lunga serie, visto che da gennaio i verbali staccati dagli agenti della polizia locale per la conduzione delle bici in centro storico sono stati una cinquantina. E poi c’è il parkour, l’arte dello spostarsi da un punto all’altro superando qualsiasi ostacolo con salti e capriole. E questi ostacoli, se siamo a Venezia, diventano ponti e i video, che poi finiscono rigorosamente sui social, diventano virali. Se la clip della scorsa estate era stata quella di un giovane turista inglese che si tuffava dal tetto di un palazzo a San Pantalon, ripreso dagli amici che erano con lui, e l’anno prima quello dei due giovani che facevano surf elettrico sul Canal Grande, il video di quest’anno è quello di un ragazzo statunitense che si è dato al parkour con una serie di salti mortali da tre ponti diversi sul tetto di un taxi che, tra l’altro, ha preso una multa per guida contromano, nel tentativo di aiutare il giovane a portare a casa l’impresa.
E, infine, non possono non essere citati i writers, i tanti che considerano Venezia come un foglio bianco su cui ci si può scrivere quello che si vuole, lasciare la firma o il tag, il nome del proprio profilo social, per rincorrere la visibilità. D’altronde, Venezia è un trampolino, per molti di lancio e per altri per un semplice tuffo o per qualche salto mortale, l’importante è saltare e dove si atterra non importa. L’importante è dire di averlo fatto, avere foto e video da condividere, mostrare le prove di quel giorno pazzo a Venezia, la città in cui tutto sembra essere possibile.