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Pensioni, spunta il piano del Cnel. Al lavoro più a lungo per raggiungere almeno 25 anni di contributi

Un cantiere che non chiude mai, e che è collegato ai lavori autunnali delle leggi di bilancio, è quello del sistema pensionistico. Non fosse altro che per il fatto che le pensioni assorbono oltre 300 miliardi di euro, l’anno circa un terzo di tutta la spesa dello Stato. Le recenti riforme, ovvero le varie “quote”, costano: in 5 anni circa 40 miliardi di euro, mentre l’età effettiva di uscita dal mondo del lavoro rimane bassa, 61,6 anni, in caso di pensione di anzianità. Un problema per un paese afflitto da un trend demografico sfavorevole. Sempre meno lavoratori che sostengono un numero crescente di pensionati.

Il quotidiano la Repubblica dà conto oggi di un ennesimo progetto di riforma del sistema, a cui stanno lavorando vari esperti coordinati dal Cnel di Renato Brunetta. In sostanza il piano prevede un allungamento dell’età lavorativa e l’eliminazioni di varie scappatoie. In cambio arriverebbe una sorta di flessibilità strutturale, ossia la possibilità per i cittadini di scegliere di ritirarsi dal lavoro tra i 64 e i 72 anni.

Ovviamente prima si va in pensione, più si viene penalizzati in termini di importo dell’assegno, con una riduzione tra il 3 e il 3,5% per ogni anno di anticipo. In ogni caso per lasciare il lavoro prima dei 72 anni sono necessari due requisiti. Il primo è di poter vantare almeno 25 anni di contributi versati (oggi sono 20 per la pensione di vecchiaia), il secondo aver raggiunto un monte contributivo che permette di percepire almeno 800 euro lordi al mese. Per ora questo è solo un progetto di riforma di natura “tecnica”, che deve passare al vaglio delle valutazioni politiche. Molto difficile che possa essere accolto in toto anche perché segnerebbe una netta inversione di rotta rispetto alla linea tenuta sinora da forse di maggioranza, Lega in primis. Al di là dei tecnicismi la strada è chiara: lavorare più anni e andare in pensione dopo.

Certo, da alcuni decenni il sistema è già stato oggetto di una rivoluzione copernicana. Non più il più vantaggioso sistema retributivo ma quello contributivo, per cui a fine carriera si percepisce un assegno parametrato ai contributi effettivamente versati nel corso della vita lavorativa e non all’ultimo stipendio percepito. Ma questo sistema ci mette tempo a coprire tutta la platea dei percettori. E in Italia, dove gli stipendi sono particolarmente bassi, la flessibilità elevata e le carriere spesso discontinue con conseguenti buchi contributivi, significherà in molti casi arrivare alla pensione con assegni da fame. In pochi potranno permettersi di uscire prima dei 74 anni.

Sul fronte della legge di bilancio, i partiti di maggioranza hanno avviato il lavorio per dare spazio alle rispettive priorità, dato che ognuno ha la sua. Quest’anno il mercanteggiamento è serrato, perché di risorse ce ne sono poche. Solo per rifinanziare misure già varate servono poco meno di 20 miliardi e non si può più ricorrere troppo al deficit visto che i vincoli europei ai bilanci pubblici sono tornati pienamente operativi. Tra le varie richieste già depositate sulla scrivania del ministro dell’Economia ci sono l’aumento delle pensioni minime, sostegni alle famiglie, estensione della flat tax, sgravi per i lavoratori. Il Corriere della Sera stima che il conto delle richieste abbia già raggiunto i 30 miliardi di euro.

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