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Boraso, nuovo interrogatorio e indagini sulle sue dichiarazioni

È atteso già per questa settimana il secondo interrogatorio dell’ex assessore Renato Boraso, che lunedì per otto ore ha risposto alle domande dei pubblici ministeri Federica Baccaglini e Roberto Terzo, che gli contestano un sistema corruttivo per piegare delibere e atti amministrativi a vantaggio di imprenditori amici e compiacenti. E molto probabilmente non sarà l’ultimo incontro.

L’inchiesta - si sa - è quella soprannominata dalla Guardia di finanza “Palude” e vede indagato anche il sindaco Luigi Brugnaro, il direttore generale del Comune Morris Ceron e il vice capo di gabinetto Derek Donadini, accusati di concorso in corruzione. Avrebbero tentato il tutto per tutto per convincere il magnate Ching Chiat Kwong ad acquistare - dopo Palazzo Dona e Palazzo Papadopoli (stimato inizialmente 14 milioni, poi scesi a 10) - i 42 ettari dei Pili, acquistati dal Brugnaro imprenditore nel lontano 2006 all’asta del Demanio per 5 milioni, ma rimasti in pancia alla società Porta di Venezia. L’investitore aveva ricevuto dal sindaco e dagli altri amministratori rassicurazioni su destinazioni e altezze - il famoso “What you want” immortalato nel video di un incontro - ma poi Ching si tirò indietro.

Anche su questa operazione - secondo l’accusa - Boraso avrebbe ricevuto 75 mila euro intestati alla sua società Stella Consulting per un rapporto sulle opportunità immobiliari in Veneto e Friuli Venezia Giulia, pagate da una società intestata al figlio del grande accusatore Claudio Vanin (che sostiene di aver ricevuto l’incarico da Loris Lotti, uomo di fiducia di Ching, che nega la circostanza). Per l’accusa una schermatura, un falso fatto per coprire una tangente utile a far abbassare la stima su palazzo Poerio.

Per tutti i 33 indagati - va ricordato - al momento, si è ancora in fase di indagini preliminari e ben lontani da eventuali processi, sentenze di condanna o assoluzione che dovessero venire.

Le intercettazioni

Lunedì scorso, l’ex assessore al Patrimonio (prima)e e alla Mobilità (poi) ha parlato per 8 ore con i pm per dare la sua versione dei fatti. E continuerà a farlo nel nuovo interrogatorio. Ha parlato a lungo, ha circostanziato, si è difeso, ma ha anche dovuto - e dovrà - entrare nel merito di centinaia di intercettazioni che gli vengono contestate. Come quelle - una fra tante - relative a una presunta tangente da 38 mila euro «per compiere atti contrari ai suoi doveri d’ufficio», per forzare l’approvazione di una variante nella zona AEV Dese . Soldi che però tardavano ad arrivare, facendo arrabbiare Boraso: «Domani ho una riunione con quello di Aev Suv. rispondo che prima mi dà i soldi e poi la firma. Anche st’altro becco (....) un milione e 100 mila ha beccato lui dalla progettazione grazie alla mia faccia». E, ancora: «Tutti piangono sulle spalle del povero Boraso, io sto piangendo mi hanno fregato (....) ho bestemmiato perché arrivassero le concessioni entro il 31 ottobre (.....) sono soldi miei cazzo!».

Indagini da chiudere entro gennaio

Di fatto, con gli interrogatori dell’ex assessore - che potrebbero aprire nuovi filoni - le indagini della Procura si sono così formalmente riaperte sul caso “Palude”, perché Finanza ed investigatori sono chiamati a cercare il riscontro alle dichiarazioni fatte dall’ex assessore. Dopo quasi 3 anni, ora i tempi stringono: l’inchiesta Palude dovrà tirare le fila entro il 15 gennaio, data di scadenza delle misure cautelari eseguite il 16 luglio. Cinque mesi perché la Procura indichi quelle che - a suo dire - sono le accuse di corruzione, turbativa d’asta, illeciti che avrebbero condizionato la vita amministrativa la città di Venezia e gli ultimi sei anni. Con relative responsabilità. Da sottoporre al giudizio di un giudice per le indagini preliminari.

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