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Il popolo degli “uncommitted” alza la voce con Kamala Harris

A scaldare gli animi del popolo dem in occasione della convention di Chicago ci hanno pensato Barak e Michelle Obama, sotto i riflettori e sul palco. Lo stesso palco sul quale avevano chiesto di poter intervenire anche i cosiddetti uncommitted pro Palestina. Sono coloro che da mesi rappresentano il movimento di dissenso della base contro Biden e il suo atteggiamento nei confronti della guerra a Gaza. Ora che il Presidente è fuori dalla corsa alla Casa Bianca, dopo aver “abdicato” a favore di Kamala Harris, il movimento spontaneo, nato nel Michigan, alza la voce proprio con la candidata democratica alle presidenziali Usa 2024.

Lo ha fatto anche in occasione della convention che rappresenta l’atto formale di investitura del ticket Harris-Walz. Il problema (perché tale è sentito oggi dal partito democratico americano) è che agli uncommitted non è stato dato il microfono ufficiale, ma solo una stanza lontana dal palcoscenico, dove poter manifestare le proprie idee e le richieste alla stessa candidata presidente. Richieste che si traducono proprio in un impegno formale di Kamala Harris a prendere una posizione netta sulla crisi in Medio Oriente. In modo molto chiaro si chiede di fermare gli aiuti – militari e non solo – a favore di Tel Aviv, assumendo una posizione di sostegno al popolo di Gaza. In caso contrario, il movimento annuncia che non sosterrà la candidata dem nella corsa contro Donald Trump, facendole venir meno voti che potrebbero risultare decisivi in stati chiave come il Michigan e il Minnesota.

Non a caso il movimento è nato proprio in Michigan, lo scorso 6 febbraio, scegliendo come nome Listen to Michigan – Vote Uncommitted. A farne parte sono soprattutto cittadini arabi e musulmani americani di Dearborn e Hamtramck, due città satelliti di Detroit dove vive una nutrita comunità multietnica, multireligiosa e multigenerazionale particolarmente attività sul fronte politico e civile. A guidarla è Layla Elabed, palestino-americana e sorella minore di Rashida Tlaib, la prima donna di religione islamica ad essere stata eletta al Congresso statunitense per il distretto del Michigan, nel 2019. Se buon sangue non mente, anche Layla ha intenzione di farsi notare e certamente c’è in parte già riuscita. Il portavoce del movimento, invece, è Abbas Alawieh, anch’egli lui palestino-americano, già a capo dello staff della stessa Tlaib a Washington e successivamente nel team diCori Bush, deputata del Missouri eletta nel 2021. É stato proprio grazie anche al contributo di Alawieh che il movimento ha ottenuto 101.000 voti uncommitted, cioè “non schierati”.

Di chi si tratta, esattamente? Sono coloro che, in occasione delle primarie sia democratiche che repubblicane, hanno dichiarano la loro intenzione di voto per il partito, ma senza esprimere preferenze per un candidato in particolare. Può essere un modo per esprimere il dissenso nei confronti di qualcuno, come accaduto la scorsa primavera con Biden, o per mandare un messaggio chiaro, come nel caso di Kamala Harris: se non assumerà posizioni chiare nei confronti della guerra di Gaza, non avrà il loro voto. Il sostegno degli uncommitted, però, però potrebbe essere decisivo, proprio in Michigan e Minnesota, considerati tra i più importanti swing State. È qui che nel 2016 Trump ottenne una vittoria a sorpresa e decisiva contro Hillary Clinton. Riconquistato, seppure a fatica, da Biden nel 2020, il Michigan ospita una delle più grandi comunità musulmane in proporzione alla popolazione totale, dopo lo stato di New York, il New Jersey, il Maryland e l’Illinois. Conta circa 250mila fedeli e a Dearborn si trova una delle più importanti e frequentate moschee del paese.

Se Kamala Harris vuole aggiudicarsi il voto anche dei uncommitted, deve mostrare un’apertura nei confronti delle loro istanze, anche perché il loro appoggio – tradotto in numeri – si traduce in 30 delegati che a Chicago, seduti all’interno dello United Center, non hanno esitato a indossare la kefiah e le spille pro-Palestine, facendo in tempo a mostrare per pochi minuti uno striscione con scritto “Stop armingIsrael”, prima che altri delegati lo rimuovessero.Se per ora Harris (peraltro assente in quel momento) non commenta, a gettare acqua sul fuoco ci ha pensato Joe Biden, lo stesso dal cui atteggiamento ritenuto troppo pro-Israele era nato il movimento. Il Presidente dal palco ha affermato che i manifestanti, più numerosi al di fuori dell’arena, “hanno le loro ragioni”. D’altro canto su questo fronte il partito democratico mostra qualche difficoltà. Occorrerà attendere, dunque, per capire se la scelta di Tim Walzcome candidato vicepresidente sarà sufficiente a placare gli animi. Il Governatore del Minnesota, infatti, ha posizioni più vicine al popolo palestinese rispetto all’altro nome che era circolato per il ticket con Harris, cioè quello del collega della Pennsylvania, Josh Shapiro, ebreo e filoisraeliano. Se questo basterà, forse avrà avuto ragione Barak Obama nell’incitare la Harris, rispolverando e riadattando il suo vecchio slogan, Yes, she can.

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