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Putin “a sorpresa” in Cecenia da Kadyrov, il suo “cane da guerra”. Che assicura: “Decine di migliaia di uomini pronti a combattere con te”

Una visita all’amico e fedele alleato Ramzan Kadyrov a tre settimane dall’inizio dell’offensiva ucraina nel Kursk, la più imponente invasione del territorio russo dai tempi della Seconda guerra mondiale. Era l’obiettivo del viaggio di Vladimir Putin in Cecenia, repubblica a maggioranza musulmana satellite di Mosca nel Caucaso settentrionale. Una visita dal valore fortemente simbolico, che potrebbe avere presto anche risvolti pratici.

Il presidente russo ha visitato la Cecenia per la prima volta dal 2011. Lo ha fatto in un viaggio “non programmato“: martedì sera, né il Cremlino né Kadyrov hanno condiviso dettagli sullo scopo e sui tempi della visita. Calorosa l’accoglienza che l’amico Ramzan ha riservato allo zar. I due hanno visitato un’accademia delle forze speciali che porta il suo nome e parlato con i volontari che si addestrano lì prima di essere schierati in Ucraina. “Finché avrà uomini come voi la Russia sarà indubbiamente e assolutamente invincibile“, ha detto Putin. Kadyrov ha dichiarato in un post sui suoi canali Telegram ufficiali che più di 47mila combattenti, tra cui 19mila volontari, si sono addestrati nella struttura da quando Mosca ha iniziato quella che definisce la sua “operazione militare speciale” in Ucraina.

Putin ha quindi visitato la tomba del padre di Kadyrov, l’ex leader Akhmat Kadyrov, un posto di comando e una moschea nella capitale Grozny. A fine giornata ha avuto un colloquio con il leader ceceno, il quale ha annunciato che nella repubblica ci sono “decine di migliaia” di riservisti pronti a combattere gli ucraini. Senza, tuttavia, specificare se qualcuno di questi potrebbe essere inviato per respingere l’incursione di Kiev a Kursk.

Kadyrov è un amico fedele di Mosca. Al centro di un culto della personalità di stampo staliniano, per parte della stampa internazionale è un “warlord”, un signore della guerra. Per altri è un “wardog“, il cane da combattimento di Putin, al quale ha fornito sostegno militare in ogni invasione portata avanti dal 2008 a oggi, dalla Georgia fino all’Ucraina. Figlio dell’uomo che aiutò lo zar a pacificare le rivolte scoppiate in Cecenia dopo l’offensiva lanciata da Boris Eltsin nel 1994 per riannettere il territorio dichiaratosi indipendente con la fine dell’Unione sovietica, dal quando è al potere Ramzan ha sempre coperto le spalle al capo. Anche in Ucraina: le sue truppe si sono unite alla Russia nell’assedio durato mesi del porto chiave di Mariupol, lo scorso anno ha inviato combattenti per proteggere Mosca dall’ammutinamento di Yevgeny Prigozhin e i suoi uomini sono accusati di aver avuto un ruolo non secondario nel massacro di Bucha. Gruppi internazionali per i diritti umani hanno accusato le sue forze di sicurezza di esecuzioni extragiudiziali, torture e rapimenti di dissidenti, ma le autorità russe hanno ostacolato le ripetute richieste di indagini.

Prima di arrivare in Cecenia, Putin è stato a Beslan, città nella provincia caucasica dell’Ossezia del Nord, dove ha incontrato per la prima volta in quasi vent’anni le madri dei 186 bambini uccisi in una scuola nel 2004 da un commando di 32 terroristi islamici. “Così come abbiamo combattuto i terroristi, oggi dobbiamo combattere coloro che commettono crimini nella regione di Kursk e nel Donbass”, e “su questo non ci possono essere dubbi”, ha detto Putin, instaurando un simbolico parallelo tra quanto accaduto 20 anni fa a Beslan e quanto sta avvenendo oggi nell’oblast al confine con l’Ucraina. Il messaggio non poteva essere più chiaro.

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