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L’autopsia esclude la morte violenta, ma la nipote badante rimane in carcere

COLLI VERDI. L’autopsia ha escluso la morte violenta: Carlo Gatti, l’89enne trovato senza vita la mattina del 4 febbraio nella sua casa alla frazione Canavera di Ruino, a Colli Verdi, è morto per una emorragia causata da un colpo di bassa intensità (compatibile anche con una caduta) ma i cui effetti sono stati amplificati dalle gravi patologie di cui l’uomo soffriva e anche dalle medicine che prendeva, in particolare la terapia con anticoagulanti. L’esame, eseguito a Medicina legale, ha escluso fratture craniche o altri segni di violenza sul corpo.

Nonostante l’esito dell’autopsia la nipote che si prendeva cura dell’uomo, Liliana Barone, 45 anni, arrestata subito dopo i fatti con l’accusa di omicidio e tuttora indagata con questa ipotesi di reato, si trova ancora in carcere, dopo quasi sei mesi di detenzione.

Domani la pm Valentina Terrile, che ha ereditato il fascicolo dal collega Paolo Mazza (da giugno alla procura di Milano), vuole risentirla. L’obiettivo è chiarire meglio la dinamica dei fatti. L’interrogatorio si intreccia con la battaglia per i domiciliari.

La richiesta di domiciliari

La difesa della donna, rappresentata dall’avvocata Laura Sforzini, insiste per la scarcerazione o almeno gli arresti domiciliari. «Noi conosciamo l’esito dell’autopsia già dalla fine di giugno – si limita a confermare la legale –. A fronte di quei risultati ho avanzato una istanza di revoca della misura cautelare o di sostituzione con i domiciliari, ma l’istanza è stata rigettata. Continuo a ritenere che non ci siano motivi perché la mia assistita resti in carcere e per questo ho presentato un appello al Tribunale del Riesame: l’udienza è fissata per il 4 settembre».

I domiciliari, da quanto si è saputo, erano stati respinti dal gip (su parere negativo del pubblico ministero Mazza) sulla base del pericolo di reiterazione del reato. La donna, in altre parole, potrebbe commettere reati dello stesso tipo.

Le indagini, a distanza di mesi, non sono ancora chiuse e la stessa casa su due piani alla frazione Canavera, dove l’uomo abitava con la nipote, è ancora sotto sequestro. Per i domiciliari, comunque, è stato trovato un alloggio alternativo, dove la donna potrebbe restare fino alla conclusione dell’inchiesta.

«Un incidente»

Durante l’interrogatorio di garanzia, subito dopo il fermo, la donna aveva parlato di «un incidente», spiegando di avere trovato quella mattina di febbraio, una domenica, lo zio per terra in un lago di sangue, ai piedi del letto.

L’uomo, vedovo e da tempo in pensione dopo una vita di lavoro a Novate Milanese, aveva diverse patologie e viveva nell’abitazione con la nipote, che lo curava, e il figlio di lei, che però la notte prima, tra sabato e domenica, non aveva dormito a casa.

Ai soccorritori, chiamati da alcuni familiari, la donna aveva lasciato intendere di avere avuto un ruolo nella morte del pensionato, forse spinta dal senso di colpa per non averlo sorvegliato. Dichiarazioni, comunque, senza alcun valore probatorio e che con il passare delle ore avevano perso consistenza.

Nel primo interrogatorio la donna si era avvalsa della facoltà di non rispondere mentre aveva dato la sua versione al magistrato in un momento successivo, qualche giorno dopo l’arresto, prima al pubblico ministero in carcere e poi al giudice durante l’interrogatorio di garanzia.

L’indagata aveva spiegato ai magistrati che quella notte dormiva in un’altra stanza e di essersi accorta di quello che era successo solo al mattino, quando era andata nell’altra camera da letto e aveva trovato lo zio senza vita ai piedi del letto.

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