The Prisoners e James Taylor ritornano liberi a Pordenone
«Con The Prisoners suonammo in Italia nel 1984, e poi qualche data nei ’90 ma è la prima volta in Friuli, e in un festival così bello, con tanta gente: sarà un gran concerto». Il tastierista James Taylor, famoso per l’omonimo Quartet, torna alle origini con la band degli esordi.
Un gruppo di culto, tra i fondatori del movimento mod inglese e precursori del britpop, che ha lasciato una traccia indelebile per sciogliersi un attimo prima del grande successo. In pista con un nuovo album, l’unica data italiana è venerdì 30 per il Music in Village al Parco IV Novembre di Pordenone, alle 21.15 a ingresso libero, appuntamento imperdibile per gli amanti del mod revival e garage. Nella formazione originale, oltre all’hammondista Taylor, il cantante e chitarrista Graham Day, il bassista Allan Crockford, il batterista Johnny Symons.
«Ho appena trascorso una vacanza a Porto Garibaldi, vicino Ferrara – prosegue Taylor –, mia moglie è di Rovigo. E conosco la vostra regione, negli anni ’90 ho tenuto un concerto in una bellissima location in Carso, e poi a Pordenone, Trieste… I musicisti inglesi amano sempre venire in Italia e io in particolare sento una forte connessione con il pubblico, perché da quarant’anni vengo qui a suonare con i miei progetti. Qualche anno fa sono stato anche al Music in Village con il mio quartetto e c’è ormai un amore reciproco».
Com’è nata questa reunion?
«In maniera molto naturale e genuina. Verso la fine della pandemia stavo suonando in un bar e il batterista dei Prisoners è salito sul palco. A una data successiva mi hanno raggiunto anche gli altri membri e abbiamo ricomposto la squadra. Sono nate nuove canzoni e qualche concerto, ma questa sarà la prima volta fuori dall’Inghilterra».
Avete pubblicato un nuovo disco, “Morning Star”. Sarà il fulcro del live?
«Ci saranno degli estratti, ma visto che avevamo inciso quattro album negli anni ’80 e ci sono tante persone che li avevano apprezzati, per forza includiamo in scaletta il vecchio materiale. Due mesi fa abbiamo tenuto un concerto a Londra e abbiamo appurato che al pubblico è piaciuta questa combinazione tra vecchio e nuovo repertorio».
Il vostro pubblico?
«Ci sono persone della nostra età e anche più, poi c’è la generazione cresciuta con gli Oasis e i Pulp nei ’90, ci sono anche quelli ancora più giovani che ci scoprono adesso. Ma lo zoccolo duro è composto da chi già ci seguiva all’epoca».
Sentite di aver influenzato band quali Stone Roses, Blur, Charlatans?
«Loro stessi l’hanno dichiarato. Se non ci fossimo fermati sarebbe andata meglio ancora. Ci siamo conosciuti da ragazzini a scuola e abbiamo condiviso tanto, abbiamo lavorato duramente per qualche anno e forse avremmo dovuto insistere ancora per raccogliere di più. Il successo stava per arrivare, le premesse non mancavano. Ci siamo sciolti e altri hanno raccolto il seme».
Ne ha rimpianto?
«Non mi lamento, perché poi quel successo l’ho avuto con il James Taylor Quartet. Adesso penso che abbiamo sbagliato a mollare, ma credevamo di non avere un futuro. Poi ognuno ha preso la sua strada, investire tutto su una band richiede una bella dose di coraggio».
Uscirà un altro album?
«In realtà abbiamo inediti anche per sei dischi».