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Telegram, crittografia o copyright? Cosa c’è dietro l’arresto di Pavel Durov (che ha nemici potenti)

L’arresto di Pavel Durov in Francia, il fondatore del popolare servizio di messaggistica basato sulla crittografia, Telegram, usato da milioni di utenti in tutto il mondo, per apparente complicità in fatti criminosi compiuti dagli utenti della piattaforma, induce alcune riflessioni, chiaramente preliminari, almeno sino a che non siano disponibili gli atti di inchiesta francesi. Non si conoscono naturalmente i dettagli del fermo, ma qualche considerazione è comunque esprimerla innanzitutto sulla stessa figura di Pavel Durov.

Durov è cittadino francese, oltre che cittadino russo, ed è residente a Dubai, negli Emirati Arabi, ove ha sede la sua creatura più recente, ovvero la piattaforma di messaggistica istantanea basata sulla crittografia, la nota Telegram. La cittadinanza francese potrebbe giustificare il fermo nei confronti di Durov dal momento che apparirebbe dubbio che uno Stato Europeo abbia potestà sanzionatoria (oltretutto penale) rispetto a servizi di messaggistica worlwide, nei confronti di una piattaforma che ha sede negli Emirati Arabi Uniti, paese tra l’altro, ove vige una disciplina rigidissima in tema di traffico di droga e pedofilia, e che non sembra, allo stato attuale aver iniziato alcun procedimento nei confronti di Durov.

Da questo punto di vista il fermo non apparirebbe giustificato nemmeno in base al Digital service ACT europeo, che si è occupato delle responsabilità delle piattaforme per i contenuti illeciti veicolati dai propri utenti.

Quest’ultima norma ha incluso tra i soggetti destinatari anche le piattaforma di messaggistica istantanea, vi è dubbio però che valgano anche in quel caso gli altri princìpi contenuti nella stessa disposizione, e che sono mutuati direttamente dalle norme comunitarie vigenti sin dagli anni 2000 in Europa, ovvero la sostanziale non responsabilità delle piattaforme di “mere conduit” che si limitano al semplice trasporto dei messaggi da un utente all’altro, e il principio dell’applicazione della legge del paese di origine, che escluderebbe l’applicazione della legge di uno Stato qualsiasi (prima di tutto la Francia), anche se connesso alla piattaforma.

Contrariamente a quanto si è letto e sentito, Durov è tutto tranne che un amico dell’establishment russo attualmente al potere: infatti dopo una iniziale infatuazione in funzione anti-occidentale del governo russo per la sua prima creatura ovvero VKontakte, il Facebook russo, che è diventato in pochi anni il social network più diffuso in Russia, Ucraina e nelle repubbliche dell’ex Unione Sovietica (Bielorussia, Armenia, Kazakistan) con un totale di 100 milioni di utenti, Durov è stato costretto a lasciare la Russia nel 2014 dopo essersi rifiutato di soddisfare le richieste del governo di chiudere le comunità di opposizione sulla sua piattaforma di social media VK, che ha venduto.

E la reazione dei vertici russi all’arresto è stata non a caso molto fredda: il vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo, Dmitry Medvedev, commentando il fermo del fondatore di Telegram in Francia, ha infatti affermato: “Durov ha sbagliato calcoli, per Occidente è pericoloso”; mentre la portavoce del Ministero degli Esteri russa, Maria Zakharova, ha dichiarato che “l’ambasciata russa a Parigi si è messa immediatamente al lavoro, come è consuetudine” in caso di detenzione di cittadini russi all’estero. Ha inoltre ricordato che molte ong internazionali avevano condannato nel 2018 la decisione di un tribunale russo di bloccare Telegram, decisione che non è mai stata pienamente attuata. “Pensate che questa volta si appelleranno per chiedere il rilascio di Durov o resteranno in silenzio?”, ha chiesto sulla sua pagina Telegram.

Già con Vkontakte Durov si era comunque fatto dei nemici potenti: ovvero le lobby internazionali del copyright che gliela hanno giurata, per via dell’ascolto su Vkontakte da parte dei giovani russi, di molte canzoni e film soggette al copyright occidentale, livore rinnovato oggi con la messaggistica di Telegram che sfugge, per la stessa conformazione del software crittografico, a controlli centralizzati.

La filosofia di Durov, per alcuni aspetti simile a quella espressa dal fondatore di Megaupload, il contestato Kim Dot Com, oggetto in anni passati di una querelle giudiziaria internazionale non ancora risolta, è quella di una sostanziale equidistanza da qualsiasi organismo nazionale od internazionale (sia esso il Cremlino, o gli Stati Uniti o l’Unione Europea) in grado di influenzare la libertà di espressione e di circolazione di idee tra utenti, al punto di ricordare, qualche mese fa in una intervista all’ex giornalista di Fox Tucker Carlson che, secondo lui il governo degli Stati Uniti voleva una backdoor su Telegram per poter potenzialmente spiare i suoi utenti. “L’attenzione dell’FBI è stata una delle ragioni per cui Durov ho abbandonato l’idea di fondare la società a San Francisco”.

Nella stessa intervista Durov aveva fatto alcune affermazioni anche su Apple e Google: “Queste due piattaforme possono essenzialmente censurare tutto ciò che puoi leggere sul tuo smartphone. Lo mettono in chiaro: se non rispettiamo le loro regole, come le chiamano loro, rimuoveranno Telegram dalle [loro] applicazioni”.

Non si comprende allo stato se siano queste le motivazioni o vi sia dell’altro, è incontestabile tuttavia che le posizioni “indipendenti” di Durov siano risultate spesso scomode e che un sistema di crittografia all’apparenza inviolabile in grado di proteggere del tutto le comunicazioni tra utenti sia “fumo” negli occhi delle Autorità. Lo dimostrano i casi del recente passato, primo fra tutti quello dell’ordine di sblocco di Iphone utili per le indagini ad opera dell’Fbi, rifiutato dalla Apple, ed ancor prima la nota querelle insorta tra il fondatore del software crittografico PGP, Phil Zimmermann, che si era rifiutato di fornire al governo degli Usa delle backdoor inserite nel suo software di grande diffusione e che fu quindi accusato di pirateria informatica e addirittura di “esportazione illegale di materiale bellico”, accusa giustificata dal fatto che il governo degli Stati uniti includeva tra il materiale bellico anche il software crittografico.

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