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Violenza brutale tra adolescenti, oltre il 60% dei giovani è vittima di bullismo. Cosa rivelano le cronache

Quella di un adolescente di 13 anni di Recco che ha accoltellato, a ridosso di Ferragosto, un quattordicenne per una sorta di “regolamento di conti” a causa di un “like” ad una foto postata sui social da una ragazzina è solo l’ultima di una serie di notizie che hanno riguardato il rapporto tra adolescenti e violenza. Un sedicenne pestato a sangue per un telefonino da una baby gang a Modena, piccoli rapinatori armati di spray al peperoncino in zona Navigli a Milano e, infine, la tragica e brutale uccisione del diciassettenne Thomas Christopher Luciani a Pescara. Di fronte a questi episodi, che rimarcano storie di adolescenti violenti e criminali, parlare di “disagio giovanile” è un eufemismo.

Ad emergere, in Italia e in Europa, è che la violenza tra i gruppi di giovani e giovanissimi ha subito un drastico aumento. In particolare, secondo gli ultimi dati pubblicati, oltre il 60% di loro ha subito atti di bullismo a cui si aggiunge il 19% che ha pagato le conseguenze più gravi del sempre più diffuso cyberbullismo, ovvero gli atti di violenza verbale, perpetrati a mezzo dei social. Siamo di fronte ad uno smottamento esistenziale/generazione che non può essere sottovalutato, rispetto al quale è urgente correre ai ripari. A partire da una realtà che ormai – visti i numeri – non ha più i tratti dell’eccezionalità.

“Quello che mi preoccupa davvero – ha dichiarato lo psichiatra e sociologo Paolo Crepet, commentando l’accoltellamento di Sori – è vedere ragazzi così giovani e così violenti. È disarmante. Sono violenti perché sono annoiati, perché se non va a finire in caciara non sai che fare. La sera vanno a bere dieci, quindici shot, questo vuol dire che i genitori accettano ufficialmente, in Italia, di essere dei pusher dando i soldi, cinquanta o cento euro, a una ragazzina di tredici anni. Cosa ci fanno con quei soldi? Vanno a comprarsi da bere. Si ritrovano giovanissimi ad avere soldi sufficienti, ogni giorno, per le loro serate. Bevono fino ad arrivare a un livello di rimbecillimento che ti porta a non capire più niente, a essere insoddisfatto delle cose che fai. A quel punto, ti arrabbi perché hai visto Marisa in costume da bagno”.

Lo psichiatra conclude: “Mi sorprende che siano così pochi gli episodi come quello di Sori, forse perché tante volte non arrivano nemmeno agli onori della cronaca. Continuerà ad accadere così fino a quando qualcuno non dirà ‘la misura è colma’ ma al momento non si vede nemmeno all’orizzonte. Questa generazione non comincerà a studiare. Non sono nell’ottica di fare sforzi; si ritroveranno ad avere soldi ma a essere ignoranti, una situazione pericolosa come il tritolo. Hanno l’unica prospettiva di ereditare. Diciottenni tutti promossi e genitori che festeggiano. Ci aspettano anni difficili”.

Secondo una recente indagine sulla salute mentale dei giovani italiani, realizzata dal Consiglio Nazionale dei Giovani (CNG) con il supporto tecnico di EU.R.E.S. Ricerche Economiche e Sociali, i dati sulla necessità di supporto psicologico e sulle risposte ricevute sono allarmanti. L’esigenza di un sostegno psicologico appare trasversale e condivisa dalla quota maggioritaria del campione in tutte le sue articolazioni. Coerentemente al disagio psicologico più frequentemente rilevato nella componente femminile della popolazione, tale richiesta di aiuto assume caratteri particolarmente critici tra le giovani donne, tra le quali ben l’87,3% dichiara di aver avvertito la necessità di ricevere un sostegno negli ultimi 5 anni (a fronte del 61,8% tra i coetanei maschi).

Anche nelle fasce anagrafiche centrali (comprese tra i 20 e i 29 anni), la richiesta di un sostegno psicologico appare particolarmente avvertita, con valori vicini all’80% (78,5% tra i 20-24enni e 78,8% tra i 25-29enni), scendendo al valore più basso tra i 30-35enni (60%) e tra i 15-19enni (64,1%). Mentre, tra i genitori, solo il 31% si accorge dei problemi del proprio figlio. Il 100% dei docenti denuncia questa situazione tra gli studenti, addirittura più di quanto non raccontino loro stessi. È necessario – ci dicono gli esperti – un piano nazionale organico e permanente che permetta di rafforzare e aumentare i servizi di sostegno alla salute mentale. Servono sportelli di ascolto psicologico nelle scuole superiori e nelle università, accessibili gratuitamente a tutti gli studenti.

Appare inoltre essenziale introdurre la figura dello psicologo di base nel sistema sanitario nazionale, come già sperimentato con successo in alcuni distretti sanitari territoriali, iniziativa che dovrebbe andare di pari passo con una campagna di sensibilizzazione per superare lo stigma associato alla ricerca di aiuto psicologico e promuovere una maggiore consapevolezza dell’importanza della salute mentale tra le giovani generazioni, considerato che soltanto il 27,9% delle ragazze e dei ragazzi si è rivolto ad un professionista ricevendo l’aiuto richiesto. Va scongiurata la solitudine e l’abbandono che troppe ragazze e ragazzi sperimentano. Bisogna fare in modo che l’accesso alle cure non sia un privilegio riservato a pochi.

Non è sufficiente però auspicare piani di “supporto psicologico”. Il sostegno psicologico è un intervento straordinario, in grado di lenire le situazioni di crisi. Ma la questione è “strutturale”. Riguarda i modelli educativi ed esistenziali, i percorsi di crescita, i rapporti familiari (e le responsabilità genitoriali), la Scuola, il Sistema Paese, l’etica collettiva. C’è bisogno di esempi e di stimoli positivi. “La gioventù di un grande Paese – diceva Abel Bonnard – in tempi felici riceve esempi, in tempi di crisi li dà”. Il problema è che oggi a mancare sono gli “esempi”, adulti e giovanili. E a pagarne le conseguenze sono – come si è visto – i giovani, soggetti deboli di una realtà sociale sempre più liquefatta che tutti deve sentirci coinvolti.

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