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Irpef, risparmio da circa 550 euro all’anno per 10 mila contribuenti trevigiani

La nuova Irpef porterebbe circa 550 euro in più all’anno nelle tasche di oltre diecimila trevigiani che guadagnano tra 50 e 60 mila euro, e un risparmio – seppur più esiguo – anche ai circa 170 mila che dichiarano un reddito tra i 28 e i 50 mila euro. Grazie ai dati forniti dalla Cgil di Treviso sui redditi dei trevigiani è possibile applicare le misure di rimodulazione dell’Irpef allo studio del Governo, e vedere l’effetto che fa.

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Il piano

Tra le proposte in discussione c’è una modifica dell’Irpef che porterebbe a tagli significativi della stessa imposta sul reddito delle persone fisiche.

Due, in particolare, le misure che il Governo intende applicare: la riduzione dal 35% al 33% dell’aliquota intermedia (per redditi tra 28 e 50 mila euro) e l’estensione di tale aliquota a redditi fino a 60 mila euro, oggi soggetti alla fascia di prelievo più alta, del 43%.

Misure di alleggerimento della pressione fiscale sul cosiddetto ceto medio che costerebbero, secondo le stime, circa quattro miliardi di euro alle casse dello Stato.

Le proiezioni

Nella nostra provincia, come anticipato, secondo i numeri forniti dalla Cgil sarebbero più di diecimila i beneficiari della sforbiciata più consistente, ovvero chi dichiara un reddito tra 50 e 60 mila euro l’anno è si vedrebbe alleggerire la quota Irpef dall’attuale 43% al 33%.

Secondo le dichiarazioni 2023 sui redditi del 2022 (le ultima disponibili), sono per la precisione 10.183 i trevigiani in quella finestra reddituale. Pochi, comunque, in percentuale rispetto al totale dei contribuenti: meno del due per cento, su un totale di 665 mila dichiarazioni dei redditi nella Marca.

Insomma, una misura che premierebbe pochi in maniera sensibile, mentre come detto darebbe un piccolo sollievo (due per cento di Irpef in meno, dal 35% al 33%) a una platea più ampia, ovvero i circa 170 mila trevigiani che dichiarano tra 28 e 50 mila euro.

Il nodo risorse

Il nodo delle risorse da reperire per mettere in atto questa rimodulazione dell’imposta sul reddito resta però centrale: il Governo deve trovare circa quattro miliardi di euro per premiare così il ceto medio dopo anni di misure – bonus, tagli, decontribuzioni – che, come ha sottolineato il viceministro dell’Economia, Maurizio Leo, hanno dato qualche sollievo solamente ai redditi più bassi. Non è possibile, ha detto Leo, che una famiglia che guadagna 50 mila euro l’anno debba pagare il 50% di tasse, tra Irpef e addizionali, sugli aumenti di stipendio.

Cgil scettica

«Giudizio complessivo? Ancora una volta si va a fare una riforma molto costosa che però premia chi è meno in difficoltà». Non approva, Mauro Visentin. Il segretario provinciale Cgil vede il bicchiere molto più vuoto che pieno, analizzando l’idea di riforma Irpef del Governo che punta alla riduzione dal 35% al 33% dell’aliquota intermedia (per redditi tra 28 e 50 mila euro) e l’estensione di tale aliquota a redditi fino a 60 mila euro, oggi soggetti alla fascia di prelievo più alta, del 43%. «Porterebbe molto più risparmio nelle tasche dei ricchi che dei poveri – attacca Visentin – con zero benefici per i più».

Certo, sulla definizione di «ricchi» a 50 mila euro l’anno, oggi, si potrebbe discutere, no? «Diciamo un ceto medio comunque esiguo per numero – replica il segretario Cgil – perché rappresenta meno del due per cento dei contribuenti trevigiani. Per una fetta di oltre uno su quattro, invece secondo la previsione di riforma, ci sarebbe un beneficio marginale, una riduzione del 2% dell’Irpef dal 35% al 33%. E per una vasta platea di fasce più povere, con redditi sotto i 28 mila euro, non ci sarebbe alcun beneficio».

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Ecco allora il giudizio complessivo secondo il quale «ancora una volta si va a fare una modifica molto costosa che però premia chi è meno in difficoltà. Se poi leggo che si taglia l’assegno unico, si tolgono bonus, è chiaro che non c’è una politica di sostegno ai redditi medio-bassi, il conto viene caricato sulle spalle dei soliti noti, che sono stanchi e che hanno anche visto ridursi il potere d’acquisto a causa dell’inflazione». Sull’assegno unico il disegno non è ancora chiarissimo, ma «pare lo vogliano rimodulare in base ai numeri dei componenti della famiglia – sottolinea Visentin – con un’impostazione complessiva al taglio più che all’aggiunta, non leggo volontà di aumentarlo. Premiare chi ha molti figli? In percentuale sono poche famiglie, si penalizzano quelle con uno o due figli ma in situazione non certo florida».

Bocciatura, insomma, per queste misure sul tavolo: «Sarei per una logica di incremento degli scaglioni, non riduzione, perché spalmi meglio il risparmio a beneficio di chi ha redditi più bassi – conclude sul punto il segretario Cgil – Con meno scaglioni premi i più ricchi». Il vero vulnus, come lui stesso lo ha più volte definito, è quello «degli stipendi, assolutamente: finché non aumentano e permettono ai lavoratori di recuperare l’inflazione, altre misure fiscali sono solo un palliativo. Già la soglia reddituale a 28 mila euro è un sogno per molti: il tema vero è aumentare gli stipendi e il reddito reale dei lavoratori e delle famiglie». Il divario, ha già sottolineato Visentin, «è evidente rispetto a Paesi che sono i nostri competitor: ci sono 7/800 euro di differenza. E non solo il Governo, bensì nemmeno Confindustria si batte per aumentare gli stipendi: vanno rivisti i contratti».

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