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Strage di Cutro, sulle chat il ping pong tra Finanza e Capitaneria: “Errori? Fidarci”, “Li abbiamo chiamati ma non sono mai usciti”

“L’unico errore? Fidarci della Guardia di Finanza“, “Alla Capitaneria abbiamo chiesto l’intervento a mezzanotte ma non sono mai usciti”. Il ping pong delle responsabilità è ciò che emerge, secondo la Procura di Crotone, dalle comunicazioni tra i corpi di Stato che sarebbero dovuti intervenire nella notte tra il 25 e il 26 febbraio del 2023 in soccorso del caicco “Summer Love”, a bordo del quale si trovavano decine di migranti: i morti accertati furono 94, tra cui 35 bambini, mentre di altre decine di persone non si è più saputo niente. Nell’informativa di 650 pagine depositata dal Reparto operativo dei carabinieri di Crotone sono finite anche comunicazioni e messaggi anche con canali non ufficiali, come le chat whatsapp. Alcuni di questi atti sono ora noti dopo la pubblicazione da parte di Repubblica.it.

L’inchiesta sulla strage di Steccato di Cutro si è conclusa con l’avviso di conclusione indagini – premessa di possibile richiesta di rinvio a giudizio – per Giuseppe Grillo, capo turno della sala operativa del Comando provinciale di Vibo Valentia della Guardia di finanza e del Reparto operativo aeronavale delle fiamme gialle, Alberto Lippolis, comandante del Roan di Vibo Valentia, Antonino Lopresti, ufficiale in comando e controllo tattico nel Roan di Vibo Valentia; Nicolino Vardaro, comandante del gruppo aeronavale di Taranto, Francesca Perfido, ufficiale di ispezione in servizio nel Centro di coordinamento italiano di soccorso marittimo di Roma, e Nicola Nania, ufficiale di ispezione nel centro secondario di soccorso marittimo di Reggio Calabria. Le ipotesi di reato sono quelle di naufragio colposo e omicidio colposo plurimo.

Le comunicazioni coprono un lasso di tempo di 5 ore durante le quali né la Guardia di Finanza né la Guardia Costiera fecero niente per salvare i migranti. A parlare tra gli altri, secondo gli atti dell’inchiesta, è l’ammiraglio Gianluca D’Agostino, responsabile della sala operativa delle Capitanerie di porto: “Ritengo che il nostro unico errore – afferma – sia stato quello di fidarci della Guardia di finanza, che ci ha dato informazioni mendaci”. Non meno severa la valutazione del comandante regionale delle Capitanerie di porto, Giuseppe Sciarrone: “Non capisco perché quella notte ci hanno chiamato e hanno rifiutato il nostro apporto. La Guardia di finanza avrebbe dovuto chiamarci immediatamente, avevano l’obbligo di intervenire una volta scoperto il target. Le nostre imbarcazioni erano in grado di navigare con quelle condizioni meteo“.

E’ vero però che già dalle 23.30 le chat dei finanzieri parlano di un intervento di “law enforcement”, cioè di sicurezza e ordine pubblico e non di soccorso. E questo nonostante fosse chiaro che a bordo dell’imbarcazione ci fossero solo migranti e che le condizioni meteomarine fossero “proibitive”. “Per il momento è un’attività di polizia, abbiamo una nostra motovedetta fuori che l’attenderà… mare permettendo”. Quando la strategia cambia e alle 3.48 la Finanza finalmente comunica alla Guardia costiera che i suoi mezzi stanno rientrano in porto perché non riescono ad affrontare il mare (“Passiamo la palla a voi“), dalla Capitaneria rispondono quasi gelidi: “Noi in mare non abbiamo nulla. Poi vediamo come evolve la situazione, perché al momento non abbiamo nessun genere di richiesta di aiuto”. Alle 7 del mattino sulla chat della Guardia di finanza c’è già chi si assolve. “Alla Capitaneria abbiamo richiesto l’intervento già a mezzanotte, ma non sono mai usciti. Dopo che noi siamo rientrati gliel’ho fatto mettere a brogliaccio: guarda noi non ce la facciamo, valutate voi. Senza una chiamata di soccorso non hanno ritenuto di uscire. Noi abbiamo fatto tutto quello che dovevamo fare”. E questo sarà esattamente ciò che il processo dovrà dimostrare.

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