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Il film della strage di Paderno nel racconto del 17enne: il coltello, le aggressioni e l’intenzione di “incolpare altri”

“Quando si sono addormentati sono sceso, ho preso una maglietta nera e l’ho divisa a metà per impugnare il coltello, perché avevo intenzione di pulire il coltello per fare incolpare altri”. Inizia così il film della strage di Paderno nel racconto del 17enne che ha confessato l’omicidio di padre, madre e fratellino di 12 anni con cui, dopo la festa di compleanno del padre, aveva giocato alla Playstation. Il primo a essere colpito con decine di coltellate delle 68 in totale inferte alle tre vittime è stato il 12enne. Poi il 17enne si è diretto “in camera dei miei genitori”. Loro, ha proseguito, “hanno acceso la luce, io ero davanti a loro con il coltello in mano. Loro mi hanno detto di stare calmo, sono venuti in camera con me e lì li ho aggrediti”.

“È stata la sera della festa che ho pensato di farlo, non avevo ancora ideato questo piano, però avevo pensato di usare comunque il coltello perché era l’unica arma che avevo a disposizione in casa. Se ci avessi pensato di più non l’avrei mai fatto, perché è una cosa assurda”. Che al momento costa al ragazzo, studente di liceo che aveva rimediato un debito in matematica, un’accusa di triplice omicidio premeditato e per cui il giudice per le indagini preliminari ha convalidato il fermo sottolineando la “singolare ferocia”.

Riguardo all’enigma sul movente, le parole del giovane girano ancora attorno a quel malessere per il quale lui voleva trovare una “soluzione”. Ha raccontato che già da “qualche anno” aveva maturato “l’idea di vivere più a lungo delle persone normali, anche per conoscere il futuro dell’umanità” e aveva iniziato a “sentirsi un estraneo”. Aveva pensato di scappare, di andare in Ucraina, ma non gli sembravano soluzioni utili per il suo “scopo”. “Ogni tanto i miei genitori mi chiedevano se c’era qualcosa che non andava, perché mi vedevano silenzioso, ma io dicevo che andava tutto bene”.

Nelle relazioni, allegate agli atti, di psicologi, che si stanno occupando del suo caso, si mette in luce che il ragazzo parla di un “clima competitivo” che c’era in famiglia, ma anche nello sport e più in generale nella società. Un “clima relazionale – scrivono – percepito come critico e competitivo”. Delle ultime sue vacanze estive, con familiari e amici, dice che erano state “serene”, o almeno così le ha descritte. In famiglia, ha detto ancora nei colloqui, “se c’era il pretesto di litigare io cercavo di non farlo”. Ha riferito di non ricordare alcun “episodio di conflittualità con i propri famigliari”. E ha raccontato che quell’estate leggeva libri sulla “seconda guerra mondiale” e pensava, anche quando sentiva i propri familiari lamentarsi per “cose materiali”, “che c’erano altri che pativano sofferenze maggiori”.

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