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Ucciso in bici, la procura vuole il processo per l’automobilista

PAVIA. Le accuse, come chiesto dai familiari, sono rimaste tutte in piedi, compresa la fuga e l’omissione di soccorso. Per queste, oltre che per la contestazione di omicidio colposo, la procura chiede ora il processo per Loredana Casale, la docente del Bordoni che era alla guida della Renault Capture che, la mattina del 23 gennaio 2023, travolse e uccise in viale Resistenza il maestro d’asilo Daniele Marchi, 50 anni, mentre in bici andava al lavoro alla scuola Negri in Borgo.

La richiesta della pm Camilla Repetto sarà esaminata dal giudice Pasquale Villani nell’udienza fissata per il 7 novembre. Cinque le parti offese (la compagna di Marchi, due fratelli e due sorelle), tutti rappresentati dall’avvocato Marco Casali. Nell’udienza potranno costituirsi parte civile per la richiesta dei danni, ma questo dipenderà dall’esito delle trattative con l’assicurazione dell’auto, ancora in corso. Per quell’incidente non c’è ancora alcun risarcimento.

Le accuse

La docente, come indicato nel capo di imputazione, deve rispondere di omicidio colposo: avrebbe provocato l’incidente per «colpa dovuta a imprudenza, negligenza e imperizia (la visibilità era buona, il fondo stradale asciutto e la luce diurna)», ma per la procura ha anche commesso una violazione del codice della strada, per aver fatto inversione con l’auto vicino a un incrocio.

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L’altra contestazione riguarda invece l’ipotesi di fuga e omissione di soccorso: la guidatrice si era allontanata dopo l’incidente (aveva parcheggiato l’auto a una ventina di metri di distanza) ed era andata a scuola, senza chiamare i soccorsi. La docente si è sempre difesa dicendo di non esserci accorta di nulla.

Una spiegazione che aveva convinto la sostituta procuratrice Camilla Repetto, che aveva chiesto all’inizio l’archiviazione per quelle contestazioni, che presuppongono il dolo. Secondo la Pm mancavano elementi per dire che l’automobilista si accorse davvero di avere investito una persona. L’avvocato dei familiari di Marchi, però, ha fatto opposizione e il giudice gli ha dato ragione.

La dinamica e i dubbi

Secondo quanto ricostruito dal perito della procura, Emanuele Fracasso, l’auto investì Marchi nei pressi delle strisce pedonali all’altezza di piazzale Europa, di fronte al comando della polizia locale.

Il ciclista arrivava dalla rotatoria di corso Garibaldi, mentre l’impatto con l’auto avvenne all’inizio dell’attraversamento pedonale. La docente alla guida dell’auto, che proveniva dalla stessa direzione, aveva appena fatto inversione per andare a occupare un posteggio individuato nel viale alberato, verso la rotatoria di corso Garibaldi. Marchi fu trascinato sotto l’auto per 30 metri e morì all’arrivo in ospedale. Dopo l’incidente la donna posteggiò, senza voltarsi indietro, e andò a scuola. Agli investigatori disse di avere percepito qualcosa ma pensava fosse una buca o un dislivello dell’asfalto. Anche la centralina dell’auto segnalò un allarme: la docente se ne accorse, perché dopo il parcheggio scese dalla macchina e controllò la portiera dal lato del passeggero.

La decisione della giudice

Per la giudice Daniela Garlaschelli, che aveva accolto il ragionamento del legale dei familiari, ci sono «elementi che consentono di formulare una ragionevole previsione di condanna» anche per le accuse di fuga e di omissione di soccorso.

Le dichiarazioni dell’indagata, per la giudice, «non convincono»: dopo avere parcheggiato, a pochi metri dal corpo esanime del ciclista, la donna controllò la ruota anteriore e la portiera: «Sorgono dubbi sul fatto che non si sia accorta della presenza di segni sul paraurti e tracce ematiche». Ora la questione passa al vaglio di un altro giudice, che deve decidere sul processo.

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