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Mostro di Firenze: “La soluzione è nell’impronta digitale trovata sull’auto del duplice omicidio di Vicchio”

Era il 1984, le tecniche di investigazione disponibili oggi erano pura fantasia. Non solo, la scena del crimine era trattata con meno rigore e spesso contaminata. Eppure, qualche traccia resiste al passare degli anni ed è da lì che si può ripartire per la verità sulla truce saga del Mostro di Firenze, il serial killer che dal 1968 al 1985 ha fatto strage di giovani coppie che si appartavano in cerca di intimità, nelle campagne fiorentine. L’autore di diversi duplici omicidi potrebbe aver lasciato un’impronta sull’auto delle vittime del delitto commesso a Vicchio del Mugello, il 29 luglio del 1984.

L’impronta

Si tratta della Fiat Panda in cui trovarono la morte Pia Gilda Rontini, ragazza di 18 anni da poco tempo impiegata in un bar, e Claudio Stefanacci, studente universitario di 21 anni. Furono aggrediti nei pressi di Vicchio, in fondo a una strada sterrata, a colpi di pistola, la stessa utilizzata nei precedenti delitti. Il corpo della ragazza venne mutilato con l’asportazione del pube e del seno sinistro mentre sul corpo del ragazzo vennero inferte una decina di coltellate. Questo segno rinvenuto sulla loro auto, secondo il criminologo Antonio Segnini potrebbe essere della mano dell’assassino. Segnini, che ha scritto anche un libro sul “Mostro”, Se sei con me il Mostro non c’è, il Mostro di Firenze fuori dal buio, ha segnalato quest’analisi alla magistratura di Firenze a cui ha presentato formale richiesta di portare avanti una verifica. Una possibilità di indagine che si aggiunge alla pista aperta negli ultimi mesi dalla traccia di Dna rinvenuta sul proiettile che l’8 settembre del 1985 uccise Nadine Mauriot e Jean Michel Kraveichvili, le ultime vittime del mostro di Firenze, trucidati all’interno della loro tenda in località Scopeti. Quella sera, a Vicchio del Mugello il mostro, ammesso che sia stato uno e che abbia agito da solo, non indossava i guanti. Cinque le impronte ritrovate dagli investigatori sul finestrino destro dell’auto, delle quali una valida per confronti diretti. Per Segnini, la probabilità che quella traccia sia del mostro è altissima.

Le condanne

Per quattro degli otto duplici delitti, lo ricordiamo, sono stati individuati i colpevoli ma gli altri sono ad oggi rimasti irrisolti. L’inchiesta avviata negli anni ’90 sul serial killer ha portato all’arresto di Pietro Pacciani e dei cosiddetti compagni di merende Mario Vanni e Giancarlo Lotti. Le condanne per quest’ultimi sono state definitive mentre Pacciani, condannato in primo grado e poi assolto in Appello, morì prima del nuovo processo in Appello dopo che la Corte di Cassazione ebbe annullato la sua assoluzione. L’arma del mostro, una presunta Beretta con cui firmava i suoi omicidi, non è mai stata ritrovata. Così come non sono state rinvenute le numerose parti anatomiche femminili asportate alle vittime femminili.

La dinamica

L’unica alternativa è che si tratti di una contaminazione”, spiega Segnini in un’intervista rilasciata a Cronaca Vera pochi giorni fa. “Ovvero di una traccia lasciata da qualche soccorritore ma i verbali dell’epoca – aggiunge – indicano che nessuno si era avvicinato all’auto prima della scientifica”. Secondo Segnini, l’impronta è coerente rispetto alla dinamica del delitto: dopo aver sparato dall’esterno, il Mostro si sarebbe poggiato con le ginocchia sull’auto e con una mano sul finestrino per esplodere gli altri colpi direttamente nell’abitacolo. Quando nel 2016 la stessa magistratura ha chiesto alla Scientifica di confrontare l’impronta con quello di vigilanti e altri sospetti (tra cui anche Pacciani, Vinci e Vanni) gli esperti riportarono che l’impronta era incompleta secondo gli standard forensi. Tuttavia, risalire al suo “proprietario” è ancora possibile attraverso confronti diretti per escludere o rilevare corrispondenze.

Le nuove ipotesi

Secondo Segnini che ha analizzato più volte tutto il materiale d’inchiesta sul mostro, “L’assassino unico è Giancarlo Lotti, uno dei compagni di merende condannato con Vanni. Ci sono elementi non solo testimoniali che lo collegano al delitto di Vicchio. Purtroppo la Polizia Scientifica non disponeva delle sue impronte per un confronto che fu richiesto anche dalla Pm. Quelle impronte devono esserci, essendo il soggetto entrato in carcere”, dice. Segnini ha presentato istanza formale al procuratore di Firenze per una comparazione di questa impronta non solo con Lotti ma con tutti coloro coinvolti nel caso perché sospettati.

Perché questo raffronto è così importante?

Secondo Segnini, a rigor di logica, se l’esame dovesse escludere che la traccia appartiene a Lotti, è da riscrivere non solo la storia giudiziaria del delitto di Vicchio ma anche dei delitti attribuiti ai compagni di merende. Perché se non sono stati né Lotti, e nemmeno Pacciani e Vanni (già esclusi dal precedente confronto) a sparare, o sono innocenti, e allora è tutto da rivedere, oppure avevano un complice rimasto a piede libero. Ma anche se l’impronta appartenesse a Lotti, per Segnini è tutto da riconsiderare perché stravolgerebbe il ruolo da mero palo che lui stesso ha confessato durante il processo. “Acquisterebbe peso la mia teoria secondo la quale Pacciani e Vanni coi delitti del Mostro non c’entrano nulla perché il vero colpevole è proprio Lotti”, conclude così Segnini.

L'articolo Mostro di Firenze: “La soluzione è nell’impronta digitale trovata sull’auto del duplice omicidio di Vicchio” proviene da Il Fatto Quotidiano.

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