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“Corpi docili”, il film girato in carcere a Pavia sarà presentato al teatro Litta di Milano

PAVIA. Giovedì 12 settembre, alle 16.55, al Teatro Litta di Milano sarà proiettato per la prima volta "Corpi docili", il film realizzato dalla compagnia Usb della casa circondariale di Torre del Gallo nell'ambito del percorso di teatroterapia condotto da Stefania Grossi. Partecipa al concorso italiano “Visioni dal Mondo” nell'ambito della sezione lungometraggi. La regia è di Stefano Conca Bonizzoni, la produzione è di Officine Creative Università degli Studi di Pavia.

Si tratta di un film documentario girato in gran parte sul palco e negli spazi dedicati al laboratorio teatrale del carcere pavese e il laboratorio è stato rivolto ai detenuti “protetti”, ovvero coloro che non possono vivere nelle sezioni comuni per reati contrari all'etica della maggioranza della popolazione detenuta. Questa condizione spesso associata a tempi di detenzione più lunghi rispetto ai “comuni” è quella che accomuna i componenti della compagnia teatrale Usb (Uomini senza barriere), che nel teatro hanno trovato uno strumento terapeutico ed espressivo di grande valore.

La trama

“Corpi Docili” racconta il viaggio del comandante cartaginese Annibale Barca che, nell'inverno del 218 a.C., attraversò le Alpi alla testa di un esercito di fanti, cavalieri e 37 elefanti. L'obiettivo è cambiare il destino del mondo conosciuto, sconfiggendo Roma, nella più memorabile delle guerre. La storia è interpretata e scritta dagli stessi detenuti-attori, lavorando ad un'opera originale basata sui racconti di Polibio, in cui l'utopia del viaggio di Annibale, raccontata dai vinti e dai colpevoli, ci sfida e risveglia dal torpore delle certezze dei giusti e dei vincitori. «Il carcere e il teatro condividono la centralità del corpo come elemento intrinseco alle loro rispettive dinamiche – spiega il regista Stefano del film Conca Bonizzoni – nel teatro il corpo dell'attore diventa il principale strumento di espressione artistica, veicolando emozioni, idee e narrazioni attraverso gesti, movimenti e presenza scenica. In modo altrettanto centrale, ma con un significato diametralmente opposto, il corpo del detenuto è immerso in un contesto di privazione e controllo. Allontanato dalla società, il corpo del prigioniero è costantemente oggetto di sorveglianza, una presenza fisica che deve essere monitorata e disciplinata».

La colpa e la redenzione

Il regista prosegue sottolineando come «il teatro, quindi, si intreccia con il cinema in un dialogo che esalta la corporeità come mezzo privilegiato di espressione. La rappresentazione corporea permette di esplorare temi complessi come il dolore, la colpa e la redenzione, rivelando le verità nascoste dietro l’apparenza delle parole. La performance teatrale nella sua forma di restituzione al pubblico rappresenta il confronto e l’esporsi alla società esterna. Nella sua dimensione giudicante, osservatrice, ma anche benevola e acclamante. Forse anche incline all’ascolto e al rivedere pregiudizi. Al punto che durante il film gli attori-detenuti cercano di portare le loro ragioni a conclusione della messa in scena, quasi a cercare una forma di comprensione e perdono nel pubblico». —

Daniela Scherrer

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