Processo lumaca, prescrizione per tredici: si sgonfiano le accuse all’orefice Sartori
Cade l’accusa della transnazionalità e il processo si sgonfia, tanto da far decidere al collegio giudicante di Padova di rinviarlo al 12 gennaio del 2027 per sancire la prescrizione, che sarà raggiunta in quella data.
Il procedimento lumaca è quello che riguarda – tra i principali imputati – il gioielliere piovese (negozio ad Arzergrande) Ivone Sartori, sospettato di essere stato il cervello di una sorta di “multinazionale” del riciclaggio di soldi in nero finiti in investimenti immobiliari in Florida. Un’accusa che lui ha sempre respinto.
L’indagine inizia nel 2013, gli imputati sono spediti a giudizio il 23 luglio 2018. Ad oggi, a 11 anni dall’inizio dell’inchiesta, ci si è limitati a disporre la trascrizione delle intercettazioni telefoniche ed è stato sentito solo il primo teste della pubblica accusa.
La giustizia lumaca si è scontrata con la direttiva della Corte d’Appello che stabilisce che i procedimenti dove manchino meno di 2 anni dal termine prescrizione, e si trovino ancora in primo grado, non vadano fatti proseguire e vadano prescritti.
«Qui c’erano non meno di 100 testimoni da ascoltare, un processo mastodontico in cui c’era il rischio di arrivare ad un nulla di fatto», sottolinea l’avvocato Carlo Augenti, che difende Sartori. «Il collegio giudicante ha molti procedimenti di codice rosso da portare avanti e non poteva programmare così tante udienze in tempi veloci. Qui poi c’erano molti indizi e nessuna prova. Inoltre i reati fiscali erano tutti prescritti». La transnazionalità è caduta grazie ad una sentenza della Cassazione che stabilisce che devono esserci degli elementi concorrenti al reato e non gli stessi contestati in Italia.
Chi sono gli imputati
Oltre al gioielliere Ivone Sartori sono imputati Alberto Bullo di Chioggia, l’imprenditore padovano Walter Favaro, Tito Sala di Mestre, primario di otorinolaringoiatria all’ospedale di Piove; e ancora Elisabetta Mirti, l’investitrice Gabriella Berengo, l’imprenditore chioggiotto Michele Santinato, poi i preposti alla gestione degli affari Tommi Burato di Codevigo e Agostino Luise, e i familiari di Sartori: l’ex moglie Maria Manuela Borso, la figlia Nicole di Cassola, e l’altra figlia Jamie Lee e la compagna Monica Donà di Arzergrande.
Per l’accusa investivano i soldi provenienti dai reati di usura, estorsione ed evasione fiscale. Un fiume di denaro “sporco”, 2.109.695 euro finito oltreoceano a Miami. Tutte accuse prescritte. A Sartori sono stati restituiti i beni rimasti sequestrati 9 anni: una barca ormeggiata a Brondolo, la “My Way”, un’Audi S8, 4 appartamenti ad Arzergrande, l’oreficeria, la casa di famiglia di Piove, il ristorante “Ai Merli” di Codevigo, quote di 4 società.
«Rinunciato alla cittadinanza»
Sartori è amareggiato dalle lungaggini della giustizia italiana: «Ho preso la cittadinanza americana nell’aprile del 2023 e ho rinunciato alla cittadinanza italiana per protesta», dice, «per come è stata gestita questa inchiesta. Ora vivo qui in America e qui ho tutte le mie attività, gestisco le mie proprietà immobiliari a South Beach, quartiere residenziale di Miami a due passi dalla spiaggia e non gestisco più nulla in Italia».
Da ricordare che il tribunale di Washington ha per due volte respinto le richieste di arresto della procura di Padova fatte durante l’inchiesta, non ritenendole motivate (Sartori in quel periodo viveva negli Usa).
L’indagine era nata da una costola di un’altra inchiesta, avviata nei confronti di un pasticcere di Piove arrestato nel 2013 per usura ed estorsione. Durante la perquisizione nell’abitazione del pasticciere vennero sequestrati documenti contabili relativi agli affitti di 12 appartamenti, situati a Miami Beach, riscossi nel marzo e nel settembre 2012. Eppure nei conti correnti del pasticcere non risultavano operazioni o investimenti esteri. Scattò l’inchiesta per vedere chi investiva anche per suo conto.