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Acqua gialla e razionata, panni lavati negli abbeveratoi e ristoranti costretti a ridurre il menù: a Enna la siccità sta provocando una crisi igienico-sanitaria

Sembra di tornare indietro di cent’anni. Come un secolo fa, a Enna i panni sporchi si lavano nell’antico abbeveratoio di Papardura. Scelta obbligata visto che l’acqua non esce dai rubinetti e può capitare che quando arriva sia gialla. Oggi la città al centro della Sicilia è dipendente dalla diga Ancipa, nei pressi di Troina, che rifornisce anche Caltanissetta e parti dell’Agrigentino, un bacino che si è prosciugato a causa della mancanza di piogge. Per gli abitanti va sempre peggio dal 16 settembre, quando l’ente gestore, AcquaEnna, ha stabilito il razionamento su turni settimanali: erogazioni ogni 6 giorni, da mezzanotte alle 8, e senza preavviso. “Rimango sveglia tutta la notte sperando che l’acqua arrivi l’altro giorno ero stremata e mi sono addormentata rimanendo con il serbatoio vuoto”, spiega a ilfattoquotidiano.it una signora anziana che preferisce restare anonima. All’orizzonte c’è lo spettro di una crisi igienico-sanitaria e il rischio che la situazione non si risolva: “Il bacino dell’Ancipa sarà vuoto a dicembre – ha dichiarato nelle scorse ore il Capo della protezione civile Salvo Cocina – occorre avviare più pozzi”. Peggiori le stime delle forze politiche coinvolte nella cabina di regia, che dopo una riunione del 3 ottobre hanno dichiarato al quotidiano locale Vivienna che “nella diga Ancipa ci sarà acqua fino al 20 novembre”. Chi può permetterselo sta pagando le autobotti per avere una fornitura extra, ma fragili e indigenti non sanno più come fare..

Le persone – Case, ristoranti, alberghi sono esausti. Lavarsi è diventato un lusso, e chi vive con neonati o anziani deve decidere se farli mangiare o tenere pulito. “Facciamo una doccia in meno a settimana per risparmiare le risorse, lavastoviglie e lavatrici solo nel giorno in cui arriva da turnazione”, dice Giusy, anche lei preferisce rimanere anonima. Chi non ha paura di esporsi sono gli esercenti, costretti a scegliere tra ritardare i servizi, chiudere l’attività o pagare le autobotti. Maria Russo, proprietaria della lavanderia a secco Splendor, nel centro storico, cerca di resistere dilatando i tempi di consegna: “Quasi non sto vivendo: inizio a lavorare all’alba per controllare che l’acqua arrivi e quando c’è devo aspettare ore prima che si raffreddi per usarla, poi sbrigarmi a smaltirla per rientrare nella turnazione successiva. Ho chiesto ai clienti di avere pazienza”. Dal lato opposto della strada, il ristorante Centrale sta tagliando sul menù: “Pur di dosare l’acqua – racconta il titolare Giuseppe Pirrera – abbiamo ridotto dell’85% le forniture di pesce e verdura, cioè gli alimenti per cui se ne spreca di più nei lavaggi”. Non va meglio a Gianluca Vigneri, proprietario insieme al fratello della pizzeria La tana dei golosi di Enna bassa, accanto all’Università Kore: “Il nostro ristorante vive di studenti – dice -, compriamo l’acqua ogni tre giorni da autobotti private altrimenti non possiamo lavorare. Sto conservando le fatture sperando che questi soldi ci saranno rimborsati”. Secondo la carta dei servizi di AcquaEnna, in caso di “carenze o sospensioni del servizio idropotabile per un tempo limite superiore alle 48 ore, il gestore è tenuto ad attivare il servizio sostitutivo di emergenza mediante autobotte”. Ad oggi però privati e imprenditori stanno risolvendo di tasca propria e chi è meno strutturato ha sospeso l’attività: “Ho dovuto mandare via 4 clienti diversi rimborsandoli – spiega Livio Dottore, che gestisce il B&B Doctor house a Enna alta -. Siamo la provincia dei laghi e della montagna, non abbiamo mai avuto problemi, e ora rischiamo di ritrovarci con un paesaggio che non ci appartiene: una schiera di case con le autobotti sopra”.

Gli esposti – I cittadini sono arrabbiati e delusi. Anche perché pagano l’acqua in bolletta 0,69 centesimi a metro cubo: una tariffa, quella pattuita con Siciliacque, tra le più care d’Italia. Ora, oltre a saldare comunque le utenze, sono spinti a comprare casse di minerale per i bisogni primari. “Facciamo le lavatrici di notte, l’acqua ad alcuni esce marrone, e dobbiamo lavarci negli abbeveratoi: sembra il terzo mondo”, dice Monia Parlato, promotrice del comitato “Senz’acqua”, che insieme a due legali ha già presentato un esposto in Procura. “Abbiamo sottolineato il rischio per la salute pubblica e ipotizzato il reato di interruzione di pubblico servizio: in sofferenza c’è una popolazione molto anziana (tante persone in rsa o con badanti), scuole e ospedali”, racconta l’avvocato Gianpiero Cortese, uno dei rappresentanti legali del comitato. Il 30 settembre anche il Codacons ha annunciato un esposto in Procura contro “l’operato del gestore idrico, evidenziando presunte irregolarità e comportamenti poco trasparenti, che avrebbero danneggiato gli ennesi”. Il testo si basa su un articolo del sito Telenicosia firmato dal presidente di Asso-consum Pippo Bruno, che da anni conduce una battaglia contro l’ente gestore. “Dalle indagini condotte dalla stampa, supportata da un ex Assessore – dice il presidente del Codacons Bruno Messina – sarebbe emerso che sin dal 1998 il fabbisogno idrico di Enna era coperto fino al 60% da pozzi e sorgenti locali. Poi, nel 2005, quando la gestione idrica passò ad Acquaenna, circa il 75% dell’acqua della città proveniva dai 5 pozzi e da sorgenti locali, riducendo l’acquisto da Siciliacque al 25%, con prelievi dalla diga Ancipa di Troina”.

La siccità – Dopo gli esposti, si sono accesi i fari sulla manutenzione e sull’effettivo utilizzo delle fonti alternative all’Ancipa, che comunque è stata prosciugata da mesi di mancate piogge. “La siccità non è un problema recente per la Sicilia – lamentano quasi in coro gli ennesi – perché non hanno pensato prima a sistemare i pozzi?”. A rispondere a questa domanda sarà la Procura. Nel frattempo, tutto l’entroterra è in sofferenza, con razionamenti anche a Caltanissetta dove l’acqua arriva ogni 6-12 giorni, e Agrigento, con rubinetti aperti ogni 15-40 giorni. A Palermo invece dal 7 ottobre il servizio idrico sarà interrotto una volta a settimana. L’allarme siccità era iniziato già a gennaio scorso, quando l’assessore regionale all’Agricoltura Luca Sammartino, oggi sospeso perché accusato di corruzione, aveva segnalato “un deficit di precipitazioni di circa 200 millilitri d’acqua”. Alle problematiche legate al cambiamento climatico si associano gravi perdite d’acqua – il 51,6 % va perso nelle condotte secondo l’Istat – e impianti vetusti. A giugno, stanziando 10 milioni di euro per risarcire gli allevatori, il governatore Renato Schifani ha rivolto un appello all’Unione europea chiedendo il riconoscimento della zona rossa per siccità e stimando perdite per un miliardo. Nella lettera inviata a Bruxelles lo scorso giugno il presidente della Regione aveva paragonato l’isola a “Marocco e Algeria”. Di sicuro, con rubinetti chiusi e acqua gialla, la Sicilia oggi non sembra Italia. Perlomeno non quella del 2024.

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