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Un giorno di (stra)ordinaria guerra ibrida

Se i mass-media vengono generalmente indicati come quarto potere, quello che si è verificato sin dall’inizio del conflitto in Ucraina e che ieri ha vissuto una delle sue giornate più impegnative può sicuramente essere definito un quarto fronte di guerra. Non più soltanto – come abbiamo avuto modo di dire più volte – la guerra via terra, via mare, via cielo, ma anche quella che si sviluppa nel cyberspazio. Il conflitto russo-ucraino iniziato nel febbraio del 2022 è stato il primo a essere massivamente interessato da attacchi hacker o da manipolazioni mass-mediatiche che hanno generato confusione non soltanto internamente ai due Paesi coinvolti, ma che hanno destato preoccupazioni (nonché problemi concreti) anche nei Paesi che – più o meno coinvolti – osservavano il conflitto. Il 7 ottobre, giorno del compleanno di Putin, sarà ricordato come un giorno particolarmente esposto alla cosiddetta guerra ibrida: innanzitutto perché c’è stato un attacco hacker (di cui parleremo meglio in un altro articolo del nostro monografico di oggi) che ha preso di mira, con un’azione definita senza precedenti, la televisione di stato russa; poi perché c’è stata una risposta russa in Ucraina dove, tra le altre cose, i funzionari hanno dovuto accettare il divieto di utilizzo dell’app di messaggistica realizzata da Pavel Durov, Telegram; infine, perché come conseguenza dei servizi giornalistici che hanno portato i giornalisti italiani Stefania Battistini e Simone Traini a entrare nell’occupata città russa di Kursk insieme all’esercito ucraino, la Russia ha chiesto il loro arresto.

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Guerra ibrida russo-ucraina: tra attacchi alla tv di Stato e divieto di utilizzo di Telegram

Le tre azioni che abbiamo descritto fino a questo momento – e che verranno trattate singolarmente nel corso della giornata di oggi – sono state sicuramente una escalation significativa della guerra ibrida. Innanzitutto perché attacchi alla televisione di stato russa, fino a questo momento, erano stati condotti in via dimostrativa esclusivamente da gruppi collegati ad Anonymous, la cui attività è sempre particolarmente discussa. Adesso, però, la rivendicazione è arrivata da un gruppo di hacker filo-ucraini (che prende il nome da un comando di cancellazione dei file, sudo rm -RF) e si configura come un’azione esplicita di supporto a Kiev (mentre, invece, Anonymous operava genericamente – e in linea con le proprie convinzioni – contro il concetto di oppressore).

Il divieto di Telegram in Ucraina sembra inserirsi, invece, in un filone molto ben definito, come quello del divieto dell’utilizzo di piattaforme realizzate in Paesi considerati non esattamente sicuri per pregiudizi geopolitici: è successo anche in Occidente, con i funzionari statunitensi (e dell’Unione Europea) che non hanno potuto utilizzare TikTok (piattaforma cinese) perché si temevano accessi governativi a dati sensibili. In Ucraina, la questione non propriamente trasparente dell’arresto di Pavel Durov in Francia e delle pressioni esercitate dalla Russia per la sua liberazione (attualmente, il fondatore di Telegram è libero su cauzione) deve aver portato a dubitare della genuinità stessa di Telegram, con il conseguente divieto per i funzionari di utilizzarlo sui propri device.

La questione di Stefania Battistini e Simone Traini, invece, è nota da tempo: Mosca non ha gradito il ruolo di giornalisti embedded con l’esercito ucraino nel corso dell’avanzata di Kiev verso la città russa di Kursk. I due giornalisti italiani sono da tempo al centro di un vero e proprio incidente diplomatico, che ha coinvolto i due stati (Russia e Italia) prima ancora che le associazioni di categoria in difesa della libertà di stampa. Quali conseguenze ci saranno, ora, dopo che la Russia ha richiesto l’arresto dei due giornalisti italiani?

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