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Nodo viabilità a Padova, De Berti: «Il tram impatta sul traffico, servono 60 milioni per completare l’Arco di Giano»

«Quando si realizza un’opera non si può non pensare all’impatto che avrà sul territorio. Abbiamo posto la questione al Ministero dicendo che il nuovo tram Sir2 non andrà a costare solo 345 milioni, vanno considerati 60 milioni in più per completare l’Arco di Giano e salvare la viabilità della zona est di Padova, dove sorgerà il nuovo ospedale. Solo così si fa un investimento infrastrutturale completo, altrimenti si fanno solo interventi che generano altri fabbisogni». C’è la sponsorizzazione della vicepresidente della Regione Elisa De Berti nella richiesta di Padova al dicastero guidato da Matteo Salvini per ottenere i soldi che servirebbero per completare la strada per unire Padova Est direttamente all’Arcella e al centro, come alternativa alla già ingolfata Stanga.

Un ragionamento che De Berti ha esplicitato a margine dell’inaugurazione del nuovo park scambiatore della stazione di Vigonza-Pianiga, annunciando l’investimento della Regione anche per il park a Busa, che diventerà interscambio a est proprio con il Sir2, la terza linea del tram.

Viabilità a rischio caos

L’Arco di Giano che manca è lunga 1,8 chilometri e prevede un nuovo cavalcaferrovia che unisca la strada esistente a San Lazzaro e che corre lungo la ferrovia Venezia-Padova, con il cavalcavia di via Plebiscito - via Grassi - via Avanzo, snodo fondamentale di accesso all’Arcella e anche al centro attraverso il ponte della Fiera.

Per realizzare quest’opera servono ben 61 milioni e mesi fa il sindaco Sergio Giordani ha bussato alle porte del Ministero delle infrastrutture: «Sono già stato a Roma da Salvini: è il Ministero che deve aiutarci perché il nuovo ospedale è un’opera di livello nazionale – ha spiegato il primo cittadino – La Regione ha già fatto il suo aprendo un mutuo da 50 milioni per l’ampliamento della 308, la strada del Santo».

Il problema sollevato dalla vicepresidente De Berti è anche di tipo viabilistico: la terza linea del tram, la Sir2, impatterà notevolmente su via San Marco, riducendola da due a una corsia per senso di marcia. Per gestire il traffico è necessario fornire agli automobilisti strade alternative, come l’Arco di Giano appunto.

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La questione al Governo

È stata dunque anche De Berti a porre la questione all’esecutivo di Giorgia Meloni: «I ministeri spesso lavorano a compartimenti stagni: c’è il dipartimento che si occupa di viabilità e quello dei trasporti, capita che non si parlino – ragiona l’esponente della giunta Zaia che ha la delega ai trasporti – Quando hanno finanziato il Sir2 non hanno però fatto una valutazione dell’impatto sulla viabilità. Avevamo già posto la questione al precedente governo e l’abbiamo posta anche ora. Stiamo cercando di impostare con il ministero un diverso approccio, con una pianificazione degli investimenti che faccia dialogare tra loro le diverse modalità di trasporto, quella pubblica e i mezzi privati. A Roma abbiamo trovato attenzione e disponibilità».

D’altronde l’esigenza di completare l’Arco di Giano – così come la necessità di allargare la Strada del Santo, la 308 – è emersa dal tavolo per la mobilità del nuovo ospedale che ha visto riuniti tutti gli enti interessati dalla grande opera che sorgerà a San Lazzaro.

Il Gra e le Priorità

Lo stesso ragionamento – in un’ottica speculare con la zona ovest della città – può essere replicato con il Grande raccordo anulare: opera prevista nella progettazione generale e necessaria per sgravare il traffico di zone come Chiesanuova, Brusegana e Montà, una volta che sarà entrato in funzione il Sir2. «Il Gra è uno dei project financing che non è andato avanti perché non c’erano le condizioni. Ora c’è una sentenza che ci dice che dobbiamo fare un ulteriore passaggio burocratico, ma che non cambia la situazione – osserva De Berti – So bene che rimane una necessità, anche lì bisogna capire come fare a recuperare le risorse».

E su questo la vicepresidente della Regione richiama il sistema Padova a un’assunzione di responsabilità: «Bisogna fare un’analisi seria e metodica sul fabbisogno infrastrutturale, capire le priorità e concentrarsi su quelle – osserva – A Padova, invece, ogni settimana cambiano le priorità. Se saltiamo da una necessità all’altra, poi niente sembra davvero necessario. A Verona si è riusciti a fare sintesi concentrandosi sulla Statale 12 e l’abbiamo portata a casa per stralci funzionari. Padova faccia lo stesso: decidiamo insieme su cosa investire».

La soluzione anti traffico proposta dall’Università

Arrivano, si muovono, ripartono. Dinamici, leggeri, smart. Ma il loro impatto si sente, perché studenti, docenti e personale tecnico dell’università - 80 mila persone in tutto - sono una città che si somma alla città. La loro mobilità è la voce di maggior impatto sul bilancio ambientale dell’ateneo. Che vede le emissioni pro capite ridursi, per effetto di efficaci strategie mirate, ma che in prospettiva rischia di scontrarsi con la necessità di interventi a un livello superiore. «Se parliamo degli spostamenti dentro la città o comunque nel raggio di 5-10 chilometri al massimo, su quelli noi abbiamo più di una leva per incidere e lo stiamo facendo», attacca Francesca da Porto, prorettrice con delega alla sostenibilità. «Ma se il tema è l’accesso alla città, la scelta dei mezzi con cui arrivare, l’impatto che ha il movimento in entrata e in uscita della popolazione universitaria, ecco su quello non possiamo incidere più di tanto e non può farlo, da solo, neanche il Comune».

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Il tema

La fotografia da cui si parte è quella delle strade d’accesso a Padova, colorate di rosso sulle mappe di Google. È il traffico che blocca le tangenziali, le strade regionali, perfino l’autostrada. Più volte al giorno, nelle ore di punta, tutti i giorni. Chi ne è responsabile? Evidentemente le funzioni attrattive della città, ospedale e università ai primi posti. «Noi siamo una grande azienda», ragiona la prorettrice. «Abbiamo cinquemila fra docenti e personale tecnico-amministrativo e altri cinquemila fra dottorandi e specializzandi. E poi abbiamo settantamila studenti. Come si muove questa popolazione è oggetto di studio. Ogni due anni, più o meno, diffondiamo un questionario, siamo arrivati al terzo e abbiamo un indice di risposta molto alto, quindi sappiamo cosa succede. I risultati vengono analizzati dal nostro mobility manager e da un gruppo di ricerca interno all’ateneo, composto da esperti di trasporti». Di più: l’università di Padova fa anche parte di un team nazionale legato al Pnrr che mette insieme più atenei che si scambiano informazioni e strategie in tema di mobilità sostenibile. «Non possiamo incidere in modo autonomo sulla mobilità, ma possiamo di far succedere cose che ci vengono richieste e che sono necessarie», chiarisce Francesca da Porto.

Cosa si fa

Favorire gli spostamenti “leggeri” dentro la città è una strategia che l’ateneo pratica da tempo. «Incentiviamo la sicurezza per chi si muove in bici», racconta la prorettrice, «sia in termini di piste ciclabili protette, alle quali lavoriamo insieme al Comune, sia in termini di protezione dai furti, installando rastrelliere per la sosta e promuovendo giornate di marcatura dei telai». Ma la popolazione universitaria non si sposta solo in bici. «Abbiamo attivato convenzioni con i fornitori di servizi di noleggio, come Bit e Dot, per usare i monopattini a tariffe agevolate», racconta da Porto. «Abbiamo stipulato convenzioni anche con Flixbus e Itabus per gli spostamenti di lungo raggio. Ma anche con le Ferrovie per i treni. E nel pacchetto welfare dei nostri dipendenti che risiedono fuori città c’è un budget che copre il 50% dei costi per gli abbonamenti al trasporto pubblico. A quel fondo non si accede se si sceglie di usare il mezzo privato». La logica, chiarissima, è che tutte le scelte puntano a orientare la popolazione universitaria verso una mobilità sostenibile e di basso impatto.

Cosa propone

L’ateneo, attraverso i questionari, raccoglie idee, le rielabora, le trasforma in strategie possibili. Che a volte si realizzano. «Pensate al Nightbus», dice da Porto. «Nel 2019 l’abbiamo lanciato ed eravamo così convinti della proposta che l’abbiamo finanziata, coprendo metà dei costi. È andata così bene che ora quel servizio - che è notturno e a chiamata - è diventato parte dell’offerta di BusItalia». Ora si chiama Quibus e viaggia regolarmente, con una domanda che gli consente di stare sul mercato».

Cosa si potrebbe fare

Ma tutto questo riguarda quasi esclusivamente gli spostamenti “interni”, cioè quelli di pochi chilometri: dalla stazione ai dipartimenti a casa ai luoghi di ritrovo e di vita degli studenti. Ma per tornare al nodo della questione, cosa fa o può fare l’università per alleggerire gli accessi alla città? «Qui servirebbe una regia più alta», spiega la prorettrice, «e penso alla Regione. Quello che serve è un biglietto unico, un’integrazione fra più mezzi. Se ho uno studente che arriva da Noale, per esempio, so che avrà bisogno di prendere due mezzi per arrivare in aula. Ecco, per lui ci vorrebbe un unico abbonamento. Noi non possiamo muovere questa leva, il Comune neppure. La Regione sta avviando una sperimentazione, ci ha contattati e noi ci siamo offerti di partecipare. Siamo convinti che questa strategia possa completare l’offerta e ridurre ulteriormente la necessità di ricorrere al mezzo privato».

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