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Fra economia e religione: Erdogan fa rotta sui Balcani

L’Unione europea, malgrado le promesse, resta una chimera. E allora nei Balcani, a intervalli cadenzati, fanno la loro apparizione tra bandiere e tappeti rossi controversi e problematici leader extra-Ue, intenzionati ad aumentare la propria influenza nell’area. Anche con doni inconsueti.

E ieri, dopo Xi Jinping a Belgrado, è stata la volta del presidente turco Recep Tayyip Erdogan, atteso prima in Albania e poi in Serbia, non a caso due nazioni dal ruolo-chiave nella regione, anche per la Turchia. Ankara vuole accrescervi il suo peso, sia in economia sia in politica, nella società e nella difesa.

Come riuscirci? Ad esempio fornendo all’esercito di Tirana un numero imprecisato ma «considerevole» di «droni kamikaze» di produzione turca, ha così annunciato il premier albanese Edi Rama, con a fianco Erdogan. «È un regalo che manda un messaggio forte, l’Albania è inattaccabile», ha ringraziato il leader di Tirana. I droni di fatto segnano un cambio di passo anche per l’Albania, che calcherà dunque le orme di Serbia, Kosovo e Croazia, tutte impegnate in un forte riarmo e nella modernizzazione delle proprie forze armate e di sicurezza.

Ma Erdogan a Tirana ha usato anche altre “armi” per aumentare il suo prestigio. Lo ha fatto inaugurando la Namazgah, o Grande Moschea di Tirana, la più imponente in tutti i Balcani, costruita in stile ottomano, con una enorme cupola che molto ricorda Agia Sofia, quattro minareti alti 50 metri, capace di contenere contemporaneamente diecimila fedeli in preghiera: luogo di culto che è l’esempio più evidente della “diplomazia delle moschee” della Turchia di Erdogan.

È stata infatti finanziata con 30 milioni da Diyanet, il Direttorato turco degli Affari religiosi diventato un moloch sotto Erdogan, con bilancio e dipendenti moltiplicati, vera arma per estendere l’influenza di Ankara all’estero, in particolare nei Balcani, in quella che analisti ed esperti hanno definito «politica neo-ottomana».

Ma c’è dell’altro, dietro la visita di Erdogan. Lo aveva anticipato lo stesso leader turco in primavera, auspicando durante un incontro con Rama un ulteriore rafforzamento dei rapporti economici tra Ankara e Tirana. I quali già ora sono significativi, con la Turchia quinto maggiore investitore in Albania (3,2 miliardi) e 600 imprese turche che danno lavoro a oltre 15mila albanesi. «Continuiamo a lavorare per aumentare l’interscambio a 2 miliardi», la promessa fatta ieri da Erdogan. La politica di “espansionismo” turco pare funzionare. «Non ho parole per ringraziare Erdogan per questa importante visita», ha detto Rama, confermando che col leader di Ankara si è parlato pure di «rafforzare la collaborazione» in economia, industria militare e investimenti, evocando una partnership «con potenziale straordinario».

Discorsi simili risuoneranno in Serbia, dove Erdogan è atterrato ieri sera e oggi avrà una serie di incontri d’alto livello, a partire da quello col presidente Aleksandar Vučić. In Serbia gli investimenti turchi nell’ultimo decennio sono schizzati a 400 milioni di euro, l’export di Ankara ha superato i due miliardi dagli 1,1 del 2020, tante sono le imprese turche al lavoro, soprattutto per nuove infrastrutture.

A Belgrado, nelle previsioni degli analisti, i temi caldi saranno molti, con Vučić che vorrebbe tentare di convincere Erdogan ad «ammorbidire il suo sostegno» al Kosovo, tradottosi anche nell’invio di droni per Pristina. E «non sarei sorpreso che venisse annunciato anche un accordo di cooperazione militare» tra Serbia e Turchia, la previsione del politologo Vuk Vuksanović. —

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