Il sabato del villaggio aspettando la Barcolana: pienone tra gli stand e brindisi in coperta
Sono due le uniformi semiufficiali del sabato sera della Barcolana. Sulle Rive prevale quella classica: berrettino di colore sgargiante, occhiali da sole a mascherina con lenti a specchio, zainetto o sacca perfettamente impermeabile, giacca a vento – preferibilmente del colore dell’equipaggio. In giro per la città, verso l’orario dell’aperitivo, però, spunta la seconda: messinpiega, trucco, tacchi, e spritz o birra nel bicchiere di plastica – o l’equivalente maschile.
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Ma accanto a questi due tipi da Barcolana ci sono anche famiglie con i bambini, passeggini, anziani a passeggio, e turisti più o meno consapevoli dell’evento in cui sono capitati – scattano foto a ripetizione sul Molo Audace catturati dalla folla di alberi, così tanti che paiono quasi rivaleggiare con la folla di persone che riempie il centro. In coperta, intanto, si brinda in attesa della gara.
Sono le sei di sera, il volume della musica viene tirato su, e c’è chi inizia a ballare davanti al mare, in piazza Unità. Per fare meno di 500 metri ci vogliono più di dieci minuti, il doppio del solito. Il traffico umano è intenso. L’aria è di festa, forse la più bella della settimana.
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È l’effetto sabato del villaggio della Barcolana – certo in chiave molto meno cupa di quella Leopardiana. Ma il senso che si coglie è che il giorno prima della regata più affollata del mondo sia il vero giorno della festa.
L’attesa del piacere di regatare è essa stessa il piacere, raccontano alcuni velisti che incrociamo.
«La vera Barcolana, quella in cui ci si incontra tra velisti e si festeggia, finisce sulla linea di partenza: quello è il momento in cui prevale il lato oscuro della vela», scherza Ludovico Rocca, comandante della Amos, barca venuta da Chioggia per regatare. È in perfetta uniforme da Barcolana: giacca a vento blu con il nome dell’associazione («Jod Enjoy») e del progetto che porta avanti («“Mariniamo la scuola”, lo facciamo per diffondere tra i ragazzi consapevolezza di quello che succede in mare»).
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È la prima volta in regata a Trieste? La domanda è retorica, è ovviamente un habitué, ma Rocca indica il petto dove c’è scritto “Barcolana 50” e campeggia il numero 3. «Alla cinquantesima edizione siamo arrivati terzi nella categoria», afferma con orgoglio.
Domenica, sulla linea di partenza lo spirito competitivo emergerà. Ma Rocca e il suo equipaggio – tutti familiari, dalla sorella ai figli e i nipoti che vivono tra Madrid, Svizzera e Veneto, che si sono ritrovati a Trieste – incarna anche l’attenzione per il sociale tipica della manifestazione: «Amos è una barca che abbiamo avuto in affidamento dagli sbarchi, la stiamo ricostruendo. Sappiamo che c’erano sopra 80 persone, di cui quattro erano minori non accompagnati», racconta.
«Oggi è il giorno clou della Barcolana, la regata me la godrò domani in televisione», spiega Dino Venturini, di Cervignano, diversi anni di lavoro nell’ambito della vela, ora in pensione, quindi «non me la posso perdere» anche se «non ho mai regatato». «Sono venuto a salutare il mio ex datore di lavoro del Moro di Venezia», aggiunge. Com’è questa edizione? «Molto bella e partecipata, un evento che lascia il segno. Un plauso a tutti gli organizzatori, a tutti i livelli», aggiunge.
Da Chioggia arrivano anche la barca Giulia zerodosi e il suo equipaggio, di Padova. Sandro Zampa è l’armatore, alla sua prima Barcolana: «Ho appena acquistato la barca, e non sappiamo se ci riporta a casa – afferma con un sorriso –, ha un problema alle eliche, vediamo cosa si riesce a fare». La regata è splendida – racconta la squadra –, l’unico neo? «I parcheggi», affermano. «È difficile muoversi. E sarebbe bello avere delle navette per collegare le darsene vicine, noi siamo a Portopiccolo, è difficile arrivare in città», viene rilevato. —
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