FacilityLive, i fondatori a processo chiedono i lavori di pubblica utilità
PAVIA. Istituire una scuola permanente di informatica, una sorta di accademia, al Piccolo Chiostro di San Mauro. Realizzare una scuola che sia a disposizione di chi cerca il riscatto attraverso la formazione, per «riparare il danno e lasciare qualcosa alla comunità». I fondatori di FacilityLive (la società nata nel 2012 con l’obiettivo di creare un motore di ricerca innovativo e fallita a settembre dello scorso anno), Gianpiero Lotito e Mariuccia Teroni, si sono presentati con questo progetto, ieri mattina in tribunale, per il processo che li vede imputati: hanno chiesto al giudice Fabio Lambertucci di poter accedere alla messa alla prova, un percorso che prevede lavori di pubblica utilità, per cancellare l’accusa che viene loro contestata, e cioè il mancato versamento di 1,4 milioni di euro di ritenute d’acconto ai dipendenti negli anni 2020 e 2021. Il giudice deciderà se accogliere la richiesta nell’udienza fissata per il 14 aprile del prossimo anno.
Corsi per il lavoro
I due fondatori, ex amministratori della società, erano presenti in aula, ieri, con i loro avvocati, Claudia Sclavi e Luca Algeri. L’idea di svolgere lavori di pubblica utilità, sostenuta dagli avvocati, è stata già impostata con don Franco Tassone, presidente onorario dell’associazione Piccolo Chiostro, che con la parrocchia del Santissimo Salvatore coordina una serie di realtà cittadine di solidarietà e iniziative a sostegno delle persone più fragili.
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«Il progetto deve ancora essere strutturato e dettagliato – precisano gli avvocati di Lotito e Teroni –, ma l’attività sarà comunque legata alle competenze dei nostri assistiti. L’idea è creare qualcosa che vada oltre il contingente, non solo quindi vincolato alla necessità di riparare il danno, ma che prosegua anche dopo e che lasci qualcosa alla comunità nel campo dell’istruzione e dell’informatica». Corsi di informatica, quindi, per chi è disoccupato e in cerca di lavoro.
Se il giudice darà il suo benestare, il programma sarà messo a punto con l’Uepe (Ufficio per l’esecuzione penale sterna). La contestazione di omesso versamento delle imposte era emersa in seguito agli accertamenti della Finanza sulla società e aveva portato il giudice Luigi Riganti a disporre, come chiesto dalla procura, il sequestro preventivo delle due case di proprietà a Pavia e Genova, le due automobili degli amministratori, quote societarie per un valore di 13mila euro e alcune somme di denaro rimaste sui conti intestati alla società stessa.
Il fallimento
Il procedimento penale si intreccia con la procedura, ancora in corso, sul fallimento della società, confermato dal giudice a settembre dello scorso anno. Il curatore fallimentare Pietro Griffini ha esaminato in questi mesi quello che è rimasto della società, anche in termini di gestione e di scritture contabili, e ha disposto una perizia per stimare il valore della tecnologia, che sarà messa all’asta. «I nostri assistiti sono ancora convinti della validità della tecnologia, ma bisognerà attendere la conclusione della perizia», si limitano a dire gli avvocati difensori.
Le imposte dei dipendenti che non risultano essere state versate, e su cui ora i fondatori sono a processo, rappresentano solo una parte del debito complessivo della società, che ammonta a circa 13 milioni di euro. Il grosso della cifra, oltre alle ritenute d’acconto non pagate all’Agenzia delle entrate, è rappresentato dagli stipendi non pagati ai dipendenti, circa 4,7 milioni di euro.