A Venezia buttati al macero gli arredi antichi dell’Archivio di Stato
Esterno giorno, le dieci del mattino all’ombra della basilica dei Frari. «C’è un andirivieni all’Archivio di Stato, una squadra di operai preleva del mobilio dall’istituto, lo fa pezzi metodicamente. A colpi di accetta e di mazza, poi carica i rottami su una barca in attesa».
Il testimone dell’insolita scena si chiama Diego Mazzonetto, è un architetto e designer che abita a breve distanza.
«Mi avvicino», racconta «e osservo gli oggetti destinati alla distruzione: seggiole del Settecento, tavoli ottocenteschi, poltroncine in stile veneziano, un delizioso divanetto Thonet. Non credo ai miei occhi. C’è una funzionaria che sembra sovrintendere alle operazioni, mi presento, mi qualifico e le chiedo cosa stia accadendo. “Stiamo fracassando gli oggetti di arredo destinati al macero”, è la risposta».
Allibito, il professionista prova ad obiettare. «Ma com’è possibile? Ci sono artefatti di pregio, testimonianze di altre epoche, l’Archivio dovrebbe custodire la memoria, non distruggerla». «Spiacente, ordini del direttore», la replica.
«Allora vorrei parlare con lui», incalza Mazzonetto, e poco dopo viene accontentato. Evocato, il giovane dirigente Andrea Erboso (e storico dell’arte veneziana del Cinquecento) compare nel Campo e chiede, pacatamente, quale sia il problema: «Quello che sta succedendo mi sembra abnorme», attacca l’architetto, lesto a fotografare i fatidici mobili, «ci riempiamo la bocca di sostenibilità, riciclo, riuso, second life e poi, questo macello… Mi permetta almeno di acquistare qualche mobile, almeno non andrà tutto perduto». «Non se ne parla, sono tutti classificati come elementi inutili, saranno distrutti».
Morale della favola? «La burocrazia ha prevalso sul bello, me ne sono andato arrabbiato e avvilito, racconto questa vicenda al giornale per dovere civico, speriamo che lo scempio non si ripeta».
Possibile che non ci fosse altro destino se non quello dell’accetta, per un mobilio di un simile valore? Sì, possibile. Al di là della perplessità che può suscitare un simile trattamento - che molto ricorda il caso dei banchi scolastici a rotelle dell’era Covid poi accatastati al di fuori del liceo Benedetti perché inutilizzabili - esiste una procedura ad hoc.
Il materiale comprato o assegnato ad un ufficio dello Stato deve essere preso in carico, entrando quindi a far parte del patrimonio dello Stato. A quel punto viene identificato con un numero univoco e registrato nell’inventario dell’istituto di appartenenza.
Chi ha la responsabilità di verificare periodicamente le condizioni di questo materiale lo può anche scaricare dal patrimonio dello Stato perché magari danneggiato, mandandolo quindi al macero. Si tratta di una procedura rigorosa, il patrimonio deve infatti essere verificato da un funzionario che ne è responsabile insieme al dirigente.
In casi come questi, quindi magari in presenza di tarli o di danneggiamenti irrecuperabili, il valore complessivo del patrimonio mobile dell’istituto è ovviamente destinato a diminuire.