Kamala vista da vicino: Rampini la vota disgustato, Cazzullo ammette: “Trump vero leader, lei no”
Grandi firme italiane all’opera sulle elezioni, ma con meno fiato alle trombe per Kamala Harris. La grande speranza dem, vista da vicino, rivela infatti tutta la sua inconsistenza. Le grandi firme italiane, che ripudiano Donald Trump neanche fosse Voldemort, non riescono però a vedere in Kamala Harris un alter ego in gonnella di Harry Potter. Anzi, fanno di tutto per alludere alla sua pochezza politica.
Nel giro di poche ore il Corriere della Sera ha ospitato due stroncature tanto sonore quanto autorevoli: di Federico Rampini e di Aldo Cazzullo. Cosa potevano dire di tanto diverso i nostri prodi editorialisti? Rampini, che è registrato come elettore negli Usa, si è detto “costretto a votarla, probabilmente turandosi il naso, alla maniera di Indro Montanelli ai tempi della Democrazia cristiana.
“La considero la peggiore candidata che io abbia mai votato – scrive Rampini sul Corriere – dopo aver messo la mia scheda nell’urna con i nomi di Barack Obama nel 2012, Hillary Clinton nel 2016, Joe Biden nel 2020 (sono, secondo la definizione americana, un registered Democrat, cosa che non preclude la libertà di scelta nell’Election day). Non potevo fare altro. Donald Trump l’ho visto da vicino per quattro anni, l’ho seguito come corrispondente alla Casa Bianca in tanti summit internazionali. Incluso uno, tremendo, il 16 luglio 2018 a Helsinki con Putin: quest’ultimo, letteralmente, gli suggeriva le risposte, lo imbeccava su dossier come la Crimea. Vorrei evitare un bis, all’America e al mondo”.
Rampini rifiuta anche la tendenza a demonizzare gli elettori repubblicani e invita a riflettere sugli errori commessi dai democratici, tra questi il mancato riconoscimento del declino di Biden e la presentazione idealizzata di Harris, che in passato aveva sostenuto posizioni giudiziarie e di politica energetica più radicali, ora rinnegate senza spiegazioni.
Stessa testata, stroncatura non molto dissimile, quella firmata da Aldo Cazzullo, che è costretto ad ammettere: “Eppure Donald Trump, piaccia o no, è un leader. Kamala Harris, no. E se non sei un leader, non lo diventi in cento giorni di campagna elettorale; tanto più se hai alle spalle quattro anni non esaltanti alla Casa Bianca come vice di Biden. Non solo; dietro Trump c’è un movimento. Detestabile come lui, egoista, isolazionista, a volte apertamente razzista e golpista. Ma c’è una spinta popolare che si tocca con mano”.
“Dietro Kamala – prosegue la grande firma di via Solferino – c’è un’alleanza provvisoria di clan che non si amano, i Clinton e gli Obama, di minoranze che si detestano, ebrei e musulmani, o si ignorano, neri e latini, di gruppi sociali, dalle donne laureate agli omosessuali, che non hanno una ragione particolare per votare Harris, tranne il fatto che non vogliono Trump”. “Intendiamoci – ci fa sapere Cazzullo come se desse una notizia da breaking news – la partita è apertissima. Gli ultimi sondaggi non contano molto: in tutti gli Stati in bilico lo scarto è al di sotto del margine di errore”.
Detto tra noi, non occorreva l’intervento di Rampini e Cazzullo per saperlo: basterebbe ricordare il triste primato di Kamala Harris, consacrata come la più impopolare vicepresidente americana della storia. O per meglio dire, da quando l’uomo ha inventato i sondaggi. Quegli stessi sondaggi che oggi fanno tremare i fan dem e sperare chi non crede alla favola di Donald Trump come un novello Voldemort.
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