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Putin riceve la nuova ambasciatrice italiana: un segnale di distensione nel giorno di Trump?

Un incontro carico di significati e sottintesi quello che ha visto Cecilia Piccioni, la nuova ambasciatrice italiana in Russia, presentare le credenziali direttamente nelle mani di Vladimir Putin al Cremlino. È la prima volta, dallo scoppio del conflitto nel 2022, che un funzionario italiano entra in contatto diretto con il presidente russo, rompendo il gelo istituzionale che si era instaurato dopo l’invasione dell’Ucraina. Piccioni, insediatasi a luglio, ha sostituito Giorgio Starace, e insieme ai rappresentanti di altri 27 Paesi – molti dei quali considerati “non amici” da Mosca, come Spagna, Finlandia, Belgio e Olanda – ha preso parte alla cerimonia nella solennità della Sala di Alessandro.

Dopo le elezioni Usa, Putin vuole il dialogo con l’Occidente

Putin ha scelto toni concilianti, in apparenza lontani dalla retorica aggressiva che invece caratterizzava i suoi discorsi rivolti all’Occidente negli ultimi mesi. «Mi piacerebbe credere che prevarrà ancora una volta una visione razionale ed equilibrata della cooperazione con la Russia», auspica ora lo Zar. Un messaggio che, all’alba del voto americano e all’orma ritorno di Trump alla Casa Bianca, fa pensare. Cinico calcolo o vera apertura?  Pare che Mosca non voglia o non possa più nascondere la necessità di dialogo con l’altro emisfero, a dispetto delle tensioni.

Congratulazioni ufficiose per la vittoria di Trump

Nel frattempo, proprio dal fronte di Washington, giunge la notizia che Putin avrebbe fatto pervenire a The Donald “congratulazioni non ufficiali” per la sua vittoria. Secondo il sito Vyorstka, ripreso dal Moscow Times, tramite canali informali – “conoscenze al ministero degli esteri russo –  il Cremlino avrebbe espresso speranze per un nuovo corso meno ostile verso Mosca e, in particolare, per una riduzione degli aiuti militari all’Ucraina. La risposta del Cremlino resta però prudente: il telegramma ufficiale non è ancora partito, a differenza di quanto avvenne nel 2016, quando la vittoria di Trump fu celebrata in modo plateale, persino con brindisi, banchetti e applausi alla Duma.

Dai brindisi del 2016 alle fredde parole di Peskov

Risuona ancora l’eco delle celebrazioni di otto anni fa, quando figure influenti, come Vladimir Zhirinovsky e Konstantin Kosachev, si erano sbilanciate in una retorica enfatica, per poi scontrarsi con la realtà di una presidenza Trump più ostile che amica. La delusione per le speranze tradite del primo mandato è ancora viva, e questa volta, l’entusiasmo sembra velato da una maggiore cautela. «Il conflitto in Ucraina non si risolverà dall’oggi al domani», queste le fredde parole Dmitry Peskov, portavoce di Putin. Sembra che solo con l’insediamento della nuova amministrazione a gennaio si vedrà un vero cambio di rotta.

Mosca ha imparato la lezione?

Le scelte politiche del primo mandato Trump hanno lasciato un retrogusto amaro a Mosca, dalla mancata riconciliazione per la Crimea ai cambiamenti delle politiche o dell’invio di aiuti, anche militari a Kiev. A seguire, con la confusione e l’incertezza creata nel 2019 con l’affaire Hunter Biden, e al ritorno ad una sorta di guerra fredda. E se oggi, dal Cremlino, si guarda ancora all’America di Trump come a una chance per ricucire, si affaccia la consapevolezza di una politica estera americana che, negli anni, si è dimostrata contraddittoria e spesso imprevedibile nei rapporti con Mosca.

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