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Conte is the new Allegri: basterà il pullman per vincere lo scudetto a Napoli?

Il sospetto avanzava da inizio campionato, corroborato giornata dopo giornata dalle tante prestazioni inguardabili, condite da altrettante vittorie del Napoli, stentate ma ineluttabili. Di corto muso, le avrebbe definite un saggio. Adesso, dopo il pari a San Siro contro l’Inter, la metamorfosi è davvero compiuta (per uno scherzo del destino proprio sotto gli occhi del maestro che ieri osservava la partita in tribuna, sicuramente compiaciuto): Antonio Conte is the new Max Allegri.

Non se la prendano i tifosi del Napoli, raramente nell’ultimo decennio si è vista una capolista giocare così male. Anzi, una, la Juve di Allegri, appunto. Nella grande sfida scudetto contro l’Inter, il Napoli di Conte si è presentato a San Siro non solo per non perdere, obiettivo tutto sommato condivisibile, ma proprio per non giocare. Non poteva permettersi la sconfitta, a maggior ragione dopo il pesante ko in casa contro l’Atalanta, avrebbe significato uscire ridimensionato dal doppio confronto prima della sosta e fare un passo indietro sul piano dell’autostima. Così ha puntato dichiaratamente al pareggio, allo 0-0 in partenza che poi è diventato 1-1 dopo le reti di McTominay e Calhanoglu, poca importa il punteggio. Prima non prenderle, tutti dietro la linea della palla e classico pullman davanti alla porta, come l’ultima delle provinciali. Ha funzionato, se così si può dire.

Non che la squadra non sapesse ciò che stava facendo. Anzi, il suo calcio – se così si può chiamare – lo fa alla perfezione. Gol sporco, solo all’apparenza un rimpallo in mezzo all’area (lo schema era studiato) e catenaccio senza pudore. Ha subito tanto ma rischiato quasi nulla in realtà, prendendo gol soltanto con un tiro da trenta metri e una mezza papera di Meret. Anzi, alla fine la stava quasi per vincere nel recupero. Inzaghi, che forse un pochino la lezione l’ha imparata, a un certo punto ha capito il trappolone e ha cominciato a predicare equilibrio. L’Inter infatti ha attaccato comunque tutta la partita, ha sbagliato anche un rigore (che non c’era), ma non si è sbilanciata. Pareggio se non giusto, quasi inevitabile.

Alla fine il punto è tutto guadagnato per il Napoli (molto meno per l’Inter, che con Milan, Juve e Napoli in casa ha fatto appena due pareggi). Conte non ha perso a San Siro per vincere lo scudetto. Perché siccome non c’è dubbio che al di là delle frasi di circostanza la sua ambizione smisurata abbia come unico obiettivo il titolo, né potrebbe essere diversamente senza coppe e con un mercato da 150 milioni di euro, arrivati alla 12esima giornata, un terzo di campionato, ormai è evidente: Conte si è convinto che il Napoli possa vincere solo così, con l’anticalcio. Lo ha dimostrato a San Siro, ma ancora di più nelle partitelle passate a fare catenaccio contro l’Empoli o il Lecce di turno. Per rifondare ha scelto di rinnegare il passato, essere volutamente brutti, rifiutare scientemente ogni tipo di proposta offensiva (che non sia quella Anni Ottanta di buttare palla addosso al centravanti boa) per concentrarsi su quella difensiva, tanto un golletto prima o poi arriva. Un po’ come aveva deciso di fare Allegri nei suoi ultimi anni alla Juve. Questa è la sua strategia, scommessa, per certi versi anche provocazione.

La prima questione che tutti si pongono è se alla lunga il pullman basterà per lo scudetto. Gli scontri diretti offrono indicazioni discordanti: è vero che la pochezza della proposta è stata sconcertante, però il Napoli ha mantenuto la vetta della classifica e in Serie A i campionati si vincono soprattutto con le piccole, contro cui le squadre di Conte sono una sentenza. La vera domanda resta un’altra: perché? Era proprio necessario tutto questo? Davvero questo Napoli, che ovviamente potrebbe giocar meglio di così con gente come Kvaratskhelia, Lobotka, McTominay, non sarebbe altrettanto efficace con un calcio più moderno? Il paradosso è che né la squadra, e nemmeno il suo mister, hanno questa tradizione. Conte oggi forse è sinonimo di intensità e applicazione, ma chi lo ha visto crescere da allenatore sa che non era questa roba qui: lui è quello del 4-2-4 di Bari e Siena, alla Juventus ha cambiato ma certo non faceva catenaccio, all’Inter ha rivinto costruendo sempre dal basso. Ogni anno ha fatto un passo indietro sul passato, ogni squadra che ha preso ha giocato peggio di quella precedente. Quasi verrebbe da chiedergli il perché di questo abbrutimento. Proprio a Napoli poi, che è stato il laboratorio del bel calcio, ha vinto uno scudetto col dominio di Spalletti, gliene è stato scippato con Sarri, e oggi si trova a professare tutto ciò che ha sempre osteggiato. Fare schifo, calcisticamente parlando, pur di vincere. Ne vale la pena, forse, solo per lo scudetto.

X:@lVendemiale

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