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Migranti, il vicepresidente del Csm si schiera col governo: “La legge non può essere superata dal diritto Ue. A rischio equilibri democratici”

“In nome di pretese interpretazioni conformi alla Costituzione e al diritto dell’Unione europea il testo della legge non può essere superato, e non possono non essere rispettati i vincoli che lo stesso impone al giudice”. Ancora una volta, il vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura Fabio Pinelli usa un intervento pubblico per allinearsi al governo nella critica ai magistrati, il contrario di ciò che prevederebbe il suo ruolo di garante dell’autonomia e dell’indipendenza dell’ordine giudiziario. L’occasione stavolta è un convegno sul “principio di legalità nell’età del costituzionalismo multilivello”, organizzato a Firenze dalla Corte dei Conti, a cui hanno partecipato, tra gli altri, anche il ministro della Giustizia Carlo Nordio e il sottosegretario a palazzo Chigi Alfredo Mantovano. Schermandosi come al solito dietro un linguaggio tecnico e generico, l’avvocato leghista si schiera contro i giudici dell’immigrazione che hanno disapplicato le norme del governo per contrarietà al diritto dell’Unione europea, prevalente su quello nazionale in base alla Costituzione. Secondo Pinelli, appellandosi alla Carta i magistrati hanno esondato dalla loro funzione e attentato alla democrazia e alla separazione dei poteri: “Non si dica, per carità, che in base all’articolo 101 della Costituzione, il giudice è soggetto “solo” alla Costituzione. Il costituente parla chiaramente di “legge”, non di “Costituzione” e non c’è argomentazione seria che tenga per poter superare un dato testuale inequivoco e fondamentale per la tenuta degli equilibri dello Stato democratico“, afferma. Il j’accuse di Pinelli arriva pochi giorni dopo il suo contestato incontro privato con la premier Giorgia Meloni, avvenuto senza un preventivo confronto con il capo dello Stato – che del Csm è presidente – proprio nel momento di maggiore virulenza degli attacchi del governo contro le decisioni delle toghe.

Ora il vicepresidente di palazzo Bachelet sostiene che quelle decisioni causano “in modo progressivo e inconsapevole la costituzione di un sistema ibrido, frutto di contaminazioni senza regole e confini definiti tra diritto positivo e diritto giurisprudenziale”. Alla legge, dice, non può “essere attribuito un significato che esprima le soggettive valutazioni valoriali e dunque anche politiche del giudice che lo applica”. E “il principio costituzionale di soggezione del giudice della legge” non può “liquefarsi in un semplice uso del testo per promuovere la propria personale e soggettiva affermazione dei valori costituzionali che si intenda far prevalere”, aggiunge. Poi lancia una sorta di chiamata alle armi per contrastare il presunto strabordamento della magistratura: “Ciascuno di noi è tenuto a profondere un impegno straordinario, perché l’obiettivo è la salvaguardia degli equilibri istituzionali e delle stesse garanzie di autonomia e indipendenza dei giudici: esse si fondano su una legittimazione tecnico-professionale dei magistrati e non su una legittimazione rappresentativa”, che invece “spetta solo all’autorità politica. Non è più una questione di diritto, ma una urgente questione di salute della nostra democrazia: la necessità di rimettere a fuoco e in equilibrio, con una visione dall’alto, non affetta da strabismo, il principio costituzionale della separazione dei poteri“, è la conclusione.

A scagliarsi contro le interpretazioni sgradite delle toghe, seppure con toni meno drammatici, è anche il Guardasigilli Nordio: “Le bocche dei giudici non sono bocche mute, come Shakespeare definiva le ferite di Giulio Cesare, sono bocche che parlano e che devono essere ispirate dal raziocinio, dal buonsenso e dal principio di legalità e tassatività che derivano dalla Costituzione e dalla legge ordinaria. Non vi è spazio per il diritto cosiddetto creativo“, afferma intervenendo al convegno. Mentre Mantovano si scaglia senza giri di parole contro le disapplicazioni delle norme decise dai giudici: “Un cittadino può chiedersi: ma che senso ha votare per scegliere i miei rappresentanti al Parlamento se poi le leggi del Parlamento sono disapplicate da alcuni giudici di merito? Che senso ha se questa disapplicazione viene percepita, e la percezione incide nella credibilità delle istituzioni, come ideologicamente connotata perché ampiamente annunciata in interventi pubblici svolti talora in contesti politicamente marcati?”, attacca, in un evidente riferimento alla giudice romana Silvia Albano, presidente di Magistratura democratica e firmataria di alcune delle ordinanze di non convalida del trattenimento dei migranti nei centri in Albania.

Critiche alle frasi di Pinelli arrivano invece dai magistrati del gruppo progressista di Area: “Abbiamo letto che il vicepresidente Pinelli ha affermato in un convegno che i giudici sono soggetti “solo” alla legge. Oggi, tuttavia, la legge non è solo quella del Parlamento nazionale, ma anche le fonti fondamentali e sovraordinate della Costituzione repubblicana, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, dei trattati dell’Unione. Non lo dicono le “toghe rosse”: è un dato acquisito ed incontestato da chiunque studi e pratichi il diritto. Se invece il vice presidente Pinelli per soggezione “solo alla legge” intende soggezione dei magistrati “solo al legislatore”, e quindi alla volontà politica del momento, dimentica il senso autentico delle democrazie moderne e del principio di separazione dei poteri“, sottolineano.

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