Viaggi e cambiamento climatico: dal rischio rabbia alla Tbc, così mutano le malattie
Se la globalizzazione ha aperto la porta, il cambiamento climatico l’ha addirittura spalancata, lasciando entrare malattie nuove e altre che si ritenevano superate.
E trasformando i Dipartimenti di Prevenzione delle Usl in vere e proprie avanguardie, nel tentativo di interpretare i segnali di rischio sanitario, anticipandone le risposte: nel mirino rabbia, Tbc, malaria oltre alle patologie causate dalle arbovirosi. Nell’attesa di quelle che verranno.
Rabbia e malaria
Se da un lato il cambiamento climatico crea habitat favorevoli a microrganismi diversi da quelli tradizionalmente noti, a fare il resto del lavoro sono i viaggi, siano essi di piacere, d’affari o di ricongiungimento familiare: «La nostra Usl copre quasi un milione di persone, una popolazione moto attiva, particolarmente propensa a viaggiare, basti pensare qualche tempo fa si è presentato nei nostri ambulatori un signore affetto da un tumore in fase piuttosto avanzata, ha detto che desiderava vedere la Tanzania fino a che era in tempo e ci ha chiesto consigli per viaggiare in sicurezza» esordisce il direttore del Dipartimento di Prevenzione dell’Usl 6 Luca Sbrogiò.
«Durante l’estate, abbiamo dovuto gestire quattro situazioni di presunta esposizione alla rabbia» prosegue «tre casi su quattro erano il risultato di viaggi all’estero, con due turisti morsi da cani randagi in zone endemiche per la rabbia, uno in Bolivia e l’altro a Bali.
Quindi abbiamo avuto una ragazzina morsicata da una foca in Sudafrica, dove c’erano stati degli esemplari morti, per cui si è attivata una collaborazione sanitaria internazionale e noi siamo intervenuti con la profilassi. Infine, abbiamo avuto il pipistrello che ha morso una ragazzina nel Padovano.
Sebbene non abbiamo endemia rabbica in Italia, qualche anno fa ci sono stati dei casi simil rabici in Alto Adige e i pipistrelli sono possibili vettori, quindi abbiamo lavorato col massimo scrupolo. Dopodiché, quando si viaggia all’estero, soprattutto nei paesi tropicali, bisogna tenere alta l’attenzione e considerare che se si incontra un animale, non è un personaggio della Disney».
La propensione a viaggiare torna ad accendersi sotto le feste, e si arricchisce di rischi «i paesi tropicali sono una fucina di malattie infettive» ricorda Sbrogiò. «Non dimentichiamo in caso di Loa Loa in un uomo di origine camerunense, comparso qui anni dopo un ricongiungimento familiare» prosegue il direttore del Dipartimento di Prevenzione «quello che fa impressione è che l’avevo studiato in parassitologia quarant’anni fa e mai avrei mai immaginato di vedere un caso.
E invece ci siamo trovati questa persona che diceva di sentire qualcosa che si muoveva dietro l’occhio e quel qualcosa era un verme, che può raggiungere anche i 4-6 centimetri e che è trasmesso da una mosca che può infettare altre persone, anche se da noi non c’è. Pertanto» prosegue «quando non si muovono gli uccelli o i parassiti, si muovono le persone: ormai viviamo in un mondo unico in cui c’è un flusso costante».
Ecco perché quando una persona torna da un viaggio e non sta bene «lo deve dire al medico curante poiché ormai non si può più escludere nulla, soprattutto se non si è fatta la profilassi necessaria» insiste «qui di recente non ho visto casi, ma anche la malaria va tenuta d’occhio. Vale anche per chi è nato nei Paesi in cui è endemica e se è stato esposto in passato, quando può aver sviluppato forme meno sintomatiche. Perché, se si è trasferito in contesti sanitari evoluti, quando torna a casa, la nuova esposizione rende possibile l’infezione».
Tubercolosi
Ad oggi, spiega Sbrogiò, per l’Oms è più preoccupante la tubercolosi come numero di casi che il Covid: 35 le infezioni registrate quest’anno – ma ci sono stati periodi peggiori –, di cui 27 tra gli uomini; 12 avevano meno di trent’anni. «Il problema è legato anche alla resistenza agli antibiotici che la rende più difficile da curare» prosegue «dopodiché siamo di fronte a una malattia endemica fino agli anni Settanta. Non è mai veramente scomparsa e i flussi internazionali l’hanno fatta riapparire.
Molti casi potrebbero essere di importazione e fa presto a riprendersi, soprattutto in condizioni di scarsa alimentazione e igiene, sovraffollamento e abuso di alcol. Trattandosi di una malattia respiratoria, circola con facilità e questo anche perché potrebbe non essere immediatamente riconosciuta. Può avere un impatto epidemico e dare danni non solo polmonari ma anche in altri organi».
Arbovirosi record
La siccità prima e le temperature elevate delle ultime estati hanno rivelato una caratteristica peculiare del territorio padovano, ovvero la capacità di farsi culla di arbovirosi – malattie causate da virus trasmessi da zanzare o zecche – un tempo sconosciute, come la West Nile: degli 86 casi registrati la scorsa estate in Veneto, 45 si sono manifestati nel Padovano, con 26 episodi neuroinvasivi e 6 decessi. Serrato anche il controllo sui donatori di sangue, con 7 infettati nel Padovano sui 14 del Veneto.
«Abbiamo un sistema ecologico particolare che fino a qualche anno fa non era un problema, ma per cui ora bisogna attrezzarsi. Riguarda soprattutto la parte sud della provincia, connotata da numerosi corsi d’acqua lenti, vicini alla laguna dove si fermano numerosi uccelli di passo e molte zanzare» spiega Sbrogiò «questo nel 2022 ci è valso il record europeo dei casi di West Nile con il 25% del totale e la metà di quelli italiani».
Eppure a preoccupare ancor di più è la dengue, con 23 casi quest’anno, tutti di importazione. «È una malattia diffusa nei paesi tropicali, che viene contratta in vacanza da Cuba all’Indonesia, dal Brasile all’Africa e che richiede interventi tempestivi di disinfestazione perché è veicolata dalla zanzara tigre che, a sua volta, può trasmetterla.
Per questo in estate è stata attivata una disponibilità igienistica fissa e abbiamo chiesto ai Comuni di tenere un cellulare sempre acceso per garantire interventi immediati sia sul fronte dell’abbattimento che dell’isolamento».
Una peculiarità tutta padovana, non ancora del tutto chiarita sul piano ecologico, è anche quella del Toscana virus trasmesso dai pappataci: 8 casi su 11 sono riconducibili alla zona dei Colli.
Veterinaria e spillover
Sotto la lente dei veterinari dell’Usl, assieme allo Zooprofilattico, ci sono invece influenza aviaria e peste suina. «L’aviaria è particolarmente attenzionata per la paura dello spillover, ovvero che a un certo punto il virus riesca a trovare spazio nel contesto umano e quindi faccia partire un’altra pandemia» conclude Sbrogiò «oltre che per il fatto che queste due patologie hanno un grosso impatto sull’economia locale.
Gli eventi estremi e le nuove malattie infettive portano sfide piuttosto elevate nella sanità pubblica tra patologie che magari non pensavamo di dover affrontare o a cui non avevamo più pensato per decenni, perché potrebbero essere nuove emergenze.
Non a caso il Panflu prevede esercitazioni periodiche per essere sempre pronti».