In aumento le denunce ai centri anti violenza della Venezia Giulia: a Trieste +30% di accessi
Il 25 novembre di un anno fa i telefoni dei centri antiviolenza di tutta la regione squillavano senza sosta. A tutte le ore arrivavano chiamate di giovani donne che stavano riconoscendo loro stesse la loro relazione in quelle lunghe note audio che una ragazza proprio come loro aveva affidato alle sue amiche. «Vorrei fortemente sparire dalla sua vita, ma non so come farlo», confidava Giulia Cecchettin, pochi giorni prima di essere accoltellata dal suo ex FilippoTuretta. A distanza di un anno, l’unica cosa che sembra essere davvero cambiata è la consapevolezza, la stessa che ha armato la voce di Elena e spinge sempre più donne a chiedere aiuto.
Dall’inizio dell’anno il Goap – Gruppo operatrici antiviolenza e progetti di Trieste (via San Silvestro 5, 0403478778) ha accolto 518 donne. Il 30% in più rispetto allo stesso periodo del 2023. In 312 hanno contattato il centro per la prima volta (+11%). I dati sono aggiornati al 31 ottobre 2024, ma con l’avvicinarsi della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, il numero di chiamate sembra impennare: nelle prime tre settimane di novembre, i nuovi contatti al Goap sono stati 28, portando il totale a 340. L’attenzione mediatica serve, se non altro, a informare un numero maggiore di donne dell’esistenza di strutture in cui ricevere sostegno.
I numeri sono in crescita in tutto il territorio. Il centro Da donna a donna di Monfalcone (via Galvani 78, 333 2810048) nell’ultimo anno ha assistito 205 donne (dati al 31 ottobre), dieci in più che in tutto il 2023. L’Sos Rosa di Gorizia (via Diaz 5, 048132954) ne ha accolte 210 (sempre al 31 ottobre, + 18%). «È cresciuta la sensibilità, c’è stata una presa di posizione, ma quello che non c’è stato è l’intervento delle Stato», afferma Maria Ferrara, operatrice del Goap.
Impossibile dire se il moltiplicarsi delle richieste di aiuto sia dovuto a una recrudescenza nelle violenze, ma è certo che la morte iniqua di una giovane donna abbia turbato le coscienze come raramente prima. «Chiamano sempre più le ragazze giovani, che per vicinanza d’età e contesto si sono facilmente riconosciute in Giulia Cecchettin», raccontano Francesca Maur e Imma Tromba del Goap.
Nella maggior parte dei casi si tratta di donne italiane (70%), ma è importante sottolineare che il numero di maltrattanti italiani è maggiore (76%) rispetto a quello di stranieri (24%). L’immigrazione non ha alcuna correlazione con la violenza di genere. «Non è vero quello che dice Valditara: dire che il patriarcato non esiste è una negazione del peso che l’educazione ha nella violenza», dicono le operatrici. I numeri lo ripetono da sempre, chi agisce violenza spesso appartiene al cerchio affettivo: è maltrattante il marito (31,9%), l’ex partner (23,7%), il convivente (16,3%), il fidanzato (6,7%).
Aumenta l’efferatezza delle violenze fisiche (68%) e sessuali (20%), ma il tipo di violenza più diffuso resta quello psicologico (93%). Le donne raccontano di stalking (26%), privazione o limitazione all’accesso alle risorse economiche (43%). «Il femminicidio di Giulia Ceccettin è stato una svolta anche in questo: per la prima volta si è parlato di sentori di rischio, come controllo del telefono o difficoltà ad accettare la fine di una storia», dicono le operatrici.
Il Goap ha a disposizione alberghi dove le forze dell’ordine e il personale sanitario possono indirizzare le donne in qualsiasi ora del giorno e delle notte. A quel punto viene contattata una delle operatrici e si valuta se c’è la necessità di soluzioni più lunghe. Il centro può contare di otto case-rifugio, di cui quattro di semi autonomia: in tutto il 2023 le donne ospitate sono state 28 (+18% ), i pernottamenti in albergo 215 (+30%).
I posti in appartamento non bastano mai, ma il tasso di turn-over è aumentato. «Se sulla prevenzione è stato fatto poco o nulla, almeno sul controllo sociale lo Stato ha iniziato a dare risposte», spiega l’operatrice Tatjana Tomicic. «Il rafforzamento del “codice rosso” ha permesso di velocizzare le misure cautelari, come il braccialetto elettronico».
Nell’ultimo anno l’accesso nelle case rifugio è aumentato del 27%, ma la permanenza delle donne è diminuita del 31%. Il 74% di loro aveva sporto querela prima o all’ingresso in struttura (+34% ), e il 47% aveva poi ottenuto una misura di protezione (+41%). «È evidente – osserva l’operatrice – che l’allontanamento dell’uomo e il divieto di avvicinamento a donna e figli permettono a questi di rientrare a casa più rapidamente». Anche a Gorizia aumentano le denunce: nel 2024 il 42% delle segnalazioni è stato poi tradotto in querela (nel 2023 la percentuale fu del 33%).
Il ritorno a casa, tuttavia, non è semplice per tutte. «I tempi giudiziari diventano lunghi in presenza di minori, dove spesso il maltrattamento continua proprio attraverso il diritto alla bigenitorialità», precisano le operatrici. I tempi della giustizia restano ancora molto lenti, spesso in drammatico ritardo. —