«Quella notte del 1985 a Pavia con il cuore nuovo»: i ricordi di Taricco, il trapiantato più longevo
«Mi avevano dato pochi giorni di vita, forse fino al lunedì successivo, che era il 18 novembre. Ma l’ho saputo solo in seguito che il mio cuore era agli sgoccioli». Gian Mario Taricco, oggi sessantenne, proprio quella notte del 1985 ha invece ricevuto un cuore nuovo al San Matteo di Pavia. Martedì 26 novembre alle 17 sarà al Salone Teresiano dell’Università per la presentazione del libro Una vita a cuore aperto, scritto da Mario Viganò e Alessandro Repossi.
Taricco, lei è il trapiantato di cuore più longevo.
«Così dicono, di sicuro l’adulto più longevo».
Da anni fa coppia con il professor Viganò come testimonial per le donazioni.
«Quando il prof deve partecipare a un evento o a un convegno mi chiama: “Dobbiamo andare”. Dal 2013, da quando è in pensione facciamo coppia fissa. E siamo anche molto amici».
Lei si è ammalato nel giugno 1984, aveva 20 anni, studiava all’Università di Torino ed era una promessa del calcio.
«Ho giocato in Promozione tutto il campionato 1984-85 fino a maggio. Nel settembre dell’84 avevo superato senza problemi la visita sportiva. A giugno, però, ha cominciato a mancarmi il respiro. E’ bastata una semplice lastra, che ho saputo leggere persino io, per vedere che il mio cuore occupava il posto di due. Un virus aveva aggredito il muscolo del cuore».
Il Ministero autorizzo il primo trapianto solo l’11 novembre di quell’anno.
«Tre giorni dopo lo fecero a Padova, il 18 a Pavia. Ma Viganò e il suo staff erano pronti già da cinque anni».
Cosa ricorda oggi di quei giorni?
«Tutto, nei minimi dettagli. Stavo male, a fine giugno avevo dato l’esame di Storia del Diritto ma poi avevo smesso di studiare. Dai primi di novembre ero ricoverato al San Matteo in Terapia Intensiva. Il pomeriggio di domenica 17 venne da me il dottor Salerno. “Stavolta ci siamo”. Ho guardato La domenica sportiva, sono venuti a prendermi alle 23. Nella notte, dalle 3 alle 7.30 sono rimasto in sala operatoria».
Cosa ha pensato al risveglio?
«E’ stata una sensazione strana. Avevo molta sete ma le infermiere, di cui vedevo solo gli occhi perché bardate, mi bagnavano le labbra con una garza. Il giorno dopo è entrata mia mamma con il prof che ancora non conoscevo perché io ero seguito in Cardiologia da Montemartini, Campana e Gavazzi».
Il cuore che le batteva nel petto era di Andrea Orlandi, un ragazzo di 14 anni.
«Era di Magenta, aveva avuto un incidente in motorino senza casco, allora nessuno lo metteva. Battè la testa contro il guard-rail».
I genitori di Andrea vollero conoscerla.
«Non c’era ancora la legge sulla privacy. Chiesero di potermi incontrare. Vennero in ospedale dopo qualche giorno, ma con i miei si erano conosciuti già il martedì, al funerale a Magenta».
Siete rimasti in contatto?
«In modo assiduo fino a quando ci sono stati loro. Oggi è rimasta solo mia mamma Vera che ha 84 anni e verrà con me a Pavia».
Il 1985 è stato l’anno della rinascita.
«Ci sono voluti 14 mesi prima di riuscire a dare un nuovo esame, Economia Politica. Poi mi sono laureato, mi sono sposato e da Dogliani sono andato a Mondovì».
Oggi ha due figli.
«Andrea sta per laurearsi in Biotecnologie e Pietro è al quinto anno di Medicina».
Scelta forse non casuale?
«Non abbiamo mai avuto il coraggio di chiederglielo».