Cortocircuiti. Per Chiara Valerio, se c’è “l’amichettismo” di mezzo, il MeToo può attendere?
Secondo certe malelingue, a sinistra ogni occasione è buona per appropriarsi di battaglie, persone, simboli e persino tragedie pur di cogliere un vantaggio politico. Sempre secondo le dette malelingue, a sinistra di quelle battaglie, persone, simboli e tragedie non importa un fico secco: in effetti, nella migliore delle ipotesi se ne dimenticano quando l’onda mediatica scema; nella peggiore, dopo aver impartito lezioni urbi et orbi, spiegando in teoria – molto in teoria – la cosa giusta da fare, dire e pensare, finiscono in qualche cul de sac ideologico dal quale, solitamente, escono fischiettando e fingendo che nulla sia accaduto (d’altronde, quando hai la stampa mainstream dalla tua parte, puoi).
Eppure, osservarli da fuori, mentre se le danno tra di loro di santa ragione e si avviluppano in maniera tragicomica alle loro contraddizioni, è sempre un’esperienza interessante. Sarebbe anche divertente, se non fosse che la loro strumentale lettura della realtà, in cui si sostiene tutto e il contrario di tutto a seconda della convenienza, tocca temi seri, serissimi, ridotti a farsa a suon di slogan e controslogan. Sono mesi, ad esempio, che l’intellighenzia di sinistra cavalca l’onda emotiva della tragica uccisione della giovane Giulia Cecchettin per mano dell’ex fidanzato: ogni giorno una sparata nuova, per dimostrare che la colpa è della reviviscenza del patriarcato, rinvigorito dai pericolosi fascisti al potere. “Un figlio sano del patriarcato”, ebbe a dire nell’immediatezza la sorella della vittima, con uno slogan tanto efficace quanto assurdo, e poco mancava che qualcuno dicesse che quel figlio l’aveva partorito Giorgia Meloni in persona.
Da un anno a questa parte non fanno che spiegarci che la nostra cultura è intrisa di patriarcato, che ogni uomo è in qualche modo colpevole per l’agire di qualunque assassino, molestatore, stupratore e che tutti, ma solo se bianchi e eterosessuali, devono vergognarsi e chiedere scusa per il solo fatto di essere uomini. Tutti tranne uno. Ma andiamo con ordine: quest’anno la Fiera Nazionale della Piccola e Media Editoria “Più Libri più liberi”, la cui direzione è affidata alla scrittrice Chiara Valerio (del clan di intellettuali ispirato e capitanato da Michela Murgia e Roberto Saviano, per intenderci), è dedicata proprio alla memoria di Giulia Cecchettin. Tra gli autori ospiti della manifestazione, Valerio decide di invitare Leonardo Caffo, catanese, classe ‘88, filosofo e scrittore: Caffo, però, è al centro di una vicenda processuale particolarmente grave, in quanto accusato di maltrattamenti dalla ex compagna, e a fare emergere la cosa è proprio quell’area ideologica a cui Valerio strizza convintamente l’occhio sin dal suo primo vagito sulla scena pubblica.
Fulvio Abbate la accusa di “amichettismo” e dal mondo dell’attivismo piovono accuse di usare il femminismo per ottenere visibilità e vendite. E Chiara Valerio che fa? Si trincera nel garantismo. Un grande classico. Il beneficio della presunzione di non colpevolezza che a sinistra tirano fuori solo quando si parla degli amici. “Non ci sono ospiti d’onore e, soprattutto, si è innocenti fino a condanna definitiva. E gli innocenti hanno il diritto costituzionale alla parola”, tuona la Valerio, mentre Caffo in un trionfo di vittimismo annuncia la sua rinuncia a partecipare. Eppure, all’indomani dell’omicidio della povera Giulia, quando la sorella Elena ciarlava di figli sani del patriarcato, era stata la stessa Valerio a elogiare “la forza dei suoi ragionamenti”, chiedendo a gran voce una parola risolutiva al Presidente del Consiglio, come se il male del mondo potesse essere eliminato per decreto legge.
Oggi quella presunzione di colpevolezza universale non esiste più: un uomo accusato di maltrattamenti può tenere lezioni dal prestigioso palco del salone del libro. Anzi no. Perché le femministe che ieri, nel plauso generale, hanno impedito a Eugenia Roccella di presentare il proprio libro a Torino, oggi si scagliano contro Caffo. Succede quando alimenti quotidianamente un mostro ideologico, usandolo contro il nemico, facendo leva sull’emotività in spregio a ogni forma di pensiero razionale. Succede che il mostro cresce a dismisura ed è così affamato che divora tutto, persino te. La differenza è che quando il mostro tentò di divorare il libero pensiero di un ministro della Repubblica, Nicola Lagioia, allora direttore del Salone del libro di Torino, fece spallucce perché “la protesta è legittima”. Chiara Valerio, invece, ha annunciato che sarebbe stata lei a parlare del libro dell’amico Caffo. Poi, però, dopo le polemiche, sono arrivate le prime defezioni e così ieri è arrivata anche una tardiva retromarcia, fatta di scuse, spazi messi a disposizione delle realtà impegnate contro la violenza di genere e annuncio del ritorno nella disponibilità dell’editore dello spazio inizialmente destinato a Caffo. Perché, in fondo, la regola base dell’amichettismo è un po’ questa: la convenienza. E quello che sembrava conveniente ieri, oggi potrebbe non esserlo più, ma domani potrebbe esserlo di nuovo. Succede quando le grandi battaglie di bandiera sono in realtà bandierine in balia del vento mainstream. Signori, ecco la sinistra.
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